20.12.20

 

La verifica, rimandata a gennaio, sarà la solita buffonata tra Renzi e Conte,

con il primo interessato solo alle nomine ed il secondo che tenterà di sopravvivere

CADRA’ A MAGGIO, NON PRIMA



Ma il premier non arriverà a luglio,

già in primavera il bullo di Firenze staccherà la spina,

e con l’inizio del “semestre bianco” addio urne, ma con Draghi in campo

 

di Roberto Buonasorte

 

Amici carissimi non illudiamoci. Statene certi, al di là delle nostre speranze – che sono la logica conseguenza di uno stato d’animo inquieto e depresso dovuto da una condizione non più sopportabile – nella verifica di gennaio, quando Conte e Renzi si incontreranno di nuovo per tirare le somme, non succederà nulla.

Cerchiamo di essere concreti e proviamo a ragionare; non invocando o prefigurando ciò che noi vorremmo accadesse (sarebbe troppo facile) ma analizzando lo scenario politico e valutando “costi” e “benefici” dell’azione della sgangherata compagine di governo al potere, e cerchiamo di immaginare il futuro. Riflessioni ad alta voce, indispensabili per capire cosa potrebbe accadere nel tempo a venire.

Se Renzi staccasse la spina a gennaio si andrebbe a votare con la riduzione del numero dei parlamentari ma con il sistema elettorale vigente, tradotto: Italia Viva sparirebbe, i Cinque Stelle passerebbero da 283 parlamentari a 75; ben 208 di essi cadrebbero nella disperazione più totale non sapendo come pagare le rate di mutuo e con l’aggravante che la prima misura del nuovo esecutivo sarebbe quella, ironia della sorte, pure dell’abolizione del reddito di cittadinanza…

Il PD perderebbe una quarantina di parlamentari, ma si libererebbe definitivamente del fantasma di Renzi, e pure la Lega ne perderebbe una trentina.

Per Forza sarebbe una Caporetto: da 145 passerebbe a 60.

L’unica forza in campo (stando agli attuali sondaggi) che addirittura raddoppierebbe la rappresentanza – passando dagli attuali 52 ai probabili 105 seggi – sarebbe Fratelli d’Italia; motivo per il quale, oltre ad un ragionamento figlio di una grande coerenza, Giorgia Meloni va ripetendo non solo “mai col PD, mai con i Cinque Stelle”, ma anche “no a governissimi”, e “dopo Conte ci sono solo le urne”.

Orbene, a conclusione del nostro ragionamento, con le elezioni anticipate il centrodestra unito su 600 seggi a disposizione tra Camera e Senato ne eleggerebbe oltre 320, maggioranza assoluta! Mettendo dunque una seria ipoteca sull’elezione non solo del Presidente della Repubblica, ma - a caduta - Consulta, CSM e via elencando.

Sono pur sempre compagni ma non certo stupidi

Dunque, immaginiamo, che la “tarantella” Renzi la porterà avanti per qualche altro mese, incasserà prima la sua parte tra le 500 nomine che da qui a poco andranno fatte, e solo tra maggio e giugno – quando ormai non si potranno più sciogliere le Camere per via dell’inizio del “semestre bianco” – staccherà la spina a Conte.

Incurante, Renzi, di perdere qualche pezzo – fonti qualificate ci riferiscono di consiglieri regionali pronti a ripassare con il centrodestra – avrà portato a compimento il suo “capolavoro”: salvata la poltrona, spalancata la porta ad un governo Draghi, spianata la strada verso un incarico internazionale grazie alla nascita di un esecutivo di unità nazionale, e rimandato Conte a fare la professione di prima, l’avvocato semplice, non più quello del popolo…

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