La verifica,
rimandata a gennaio, sarà la solita buffonata tra Renzi e Conte,
con il primo
interessato solo alle nomine ed il secondo che tenterà di sopravvivere
CADRA’ A MAGGIO, NON PRIMA
Ma il premier non arriverà a luglio,
già in
primavera il bullo di Firenze staccherà la spina,
e con l’inizio
del “semestre bianco” addio urne, ma con Draghi in campo
di Roberto Buonasorte
Amici carissimi non illudiamoci. Statene certi, al di là delle
nostre speranze – che sono la logica conseguenza di uno stato d’animo inquieto
e depresso dovuto da una condizione non più sopportabile – nella verifica di
gennaio, quando Conte e Renzi si incontreranno di nuovo per
tirare le somme, non succederà nulla.
Cerchiamo di essere concreti e proviamo a ragionare; non
invocando o prefigurando ciò che noi vorremmo accadesse (sarebbe troppo facile)
ma analizzando lo scenario politico e valutando “costi” e “benefici” dell’azione
della sgangherata compagine di governo al potere, e cerchiamo di immaginare il
futuro. Riflessioni ad alta voce, indispensabili per capire cosa potrebbe accadere nel tempo a venire.
Se Renzi staccasse la spina a gennaio si andrebbe a votare con la
riduzione del numero dei parlamentari ma con il sistema elettorale vigente,
tradotto: Italia Viva sparirebbe, i Cinque Stelle passerebbero da 283
parlamentari a 75; ben 208 di essi cadrebbero nella disperazione più totale
non sapendo come pagare le rate di mutuo e con l’aggravante che la prima misura
del nuovo esecutivo sarebbe quella, ironia della sorte, pure dell’abolizione del
reddito di cittadinanza…
Il PD perderebbe una quarantina di parlamentari, ma si libererebbe definitivamente del
fantasma di Renzi, e pure la Lega ne perderebbe una trentina.
Per Forza sarebbe una Caporetto: da 145 passerebbe a 60.
L’unica forza in campo (stando agli attuali sondaggi) che addirittura
raddoppierebbe la rappresentanza – passando dagli attuali 52 ai
probabili 105 seggi – sarebbe Fratelli d’Italia; motivo per il
quale, oltre ad un ragionamento figlio di una grande coerenza, Giorgia
Meloni va ripetendo non solo “mai col PD, mai con i Cinque Stelle”, ma
anche “no a governissimi”, e “dopo Conte ci sono solo le urne”.
Orbene, a conclusione del nostro ragionamento, con le elezioni anticipate il
centrodestra unito su 600 seggi a disposizione tra Camera e Senato ne eleggerebbe oltre 320,
maggioranza assoluta! Mettendo dunque una seria ipoteca sull’elezione non solo del
Presidente della Repubblica, ma - a caduta - Consulta, CSM e via elencando.
Sono pur sempre compagni ma non certo stupidi…
Dunque, immaginiamo, che la “tarantella” Renzi la
porterà avanti per qualche altro mese, incasserà prima la sua parte tra le 500
nomine che da qui a poco andranno fatte, e solo tra maggio e giugno – quando
ormai non si potranno più sciogliere le Camere per via dell’inizio del “semestre
bianco” – staccherà la spina a Conte.
Incurante, Renzi, di perdere qualche pezzo – fonti qualificate ci riferiscono di
consiglieri regionali pronti a ripassare con il centrodestra – avrà portato a
compimento il suo “capolavoro”: salvata la poltrona, spalancata la porta ad un governo
Draghi, spianata la strada verso un incarico internazionale grazie alla
nascita di un esecutivo di unità nazionale, e rimandato Conte a fare la
professione di prima, l’avvocato semplice, non più quello del popolo…
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