31.12.19

CHIUDE IL 2019
E ANCHE IL MOVIMENTO 5 STELLE...



 di Roberto Buonasorte

Dieci anni fa, era l’ottobre del 2009, veniva fondato il Movimento 5 Stelle.
Nato dall’idea di un personaggio fantasioso come Gianroberto Casaleggio e da quella del comico genovese Beppe Grillo, il Movimento si prefiggeva di cambiare radicalmente la politica italiana e allo stesso tempo stravolgerne le regole che fino a quel momento (se si toglie la parentesi del primo Berlusconi) ci avevano accompagnato nei decenni precedenti.
La piattaforma Rousseau che tutti ormai conosciamo, la restituzione di una parte dell’indennità percepita, il massimo di due mandati elettorali che possono essere esercitati, la rotazione dei Capigruppo eletti nelle Assemblee legislative – che chiamano “portavoce”- la riduzione del numero dei parlamentari,  l’abolizione dei vitalizi e il reddito di cittadinanza sono i punti principali del programma pentastellato.
Per loro ci sarà una costante crescita fino all’exploit del marzo 2018 che li ha portati al governo, prima alleati con la Lega e oggi con il PD.
E da allora sono cominciati i guai.
Di restituire una parte dell’indennità molti non vogliono più sentir parlare, sul versante della moralità ogni tanto ne “pizzicano” pure uno dei loro, per eleggere il nuovo Capogruppo alla Camera hanno impiegato settimane tanto erano impegnati in lotte di corrente che ci hanno ricordato la parte peggiore della Prima Repubblica; improvvisati alla Toninelli o Bonafede, catapultati dal nulla su poltrone importanti e strategiche come Infrastrutture e Giustizia è stato da irresponsabili.
Anche se il colpo mortale è stato quello di affidare la guida dello Sviluppo economico a chi predicava la “decrescita felice”; dei pazzi, ecco cosa sono.
Con il reddito di cittadinanza e l’abolizione dei vitalizi poi, hanno toccato il fondo.

Nel primo caso la rabbia monta ogni giorno di più nell’apprendere dalle cronache che centinaia e centinaia di profittatori (soprattutto nel sud) usano la carta mentre lavorano in nero; per le festività - apprendiamo sempre dai giornali - ci sarebbe stato chi addirittura l’avrebbe usata, la carta, per acquistare dell’ottimo Champagne, insomma un vero scandalo.
Il top però – consentitecelo – è stato raggiunto da Fraccaro con la “buffonata” sulla presunta abolizione dei vitalizi, che ovviamente non potevano essere aboliti per la semplice ragione che essi erano già stati aboliti sin dal 2012 (quando cioè di Luigi Di Maio tutti noi ignoravamo persino l’esistenza) e allora si sono fissati nel tagliare chi già lo percepiva intervenendo in modo retroattivo sui cosiddetti diritti quesiti; attenzione però! Non è vero che li stanno redistribuendo tra i cittadini come promesso, infatti le somme sono accantonate in attesa dell'esito dei ricorsi e soprattutto per paura di doverli restituire (con gli interessi) nel caso di soccombenza.
Venditori di fumo ed imbroglioni, ecco cosa sono...
Per loro però, il vitalizio resta; certo in misura inferiore rispetto a chi lo percepiva secondo il calcolo fatto con il metodo retributivo, ma sempre vitalizio è…
Infatti, conoscete voi un solo lavoratore che con appena 5 anni di contributi (una Legislatura) a 65 anni percepirà 1000/1200 euro al mese? Oppure con 10 anni di contributi (due Legislature) percepirà, in questo caso a 60 anni anziché 65, un vitalizio (perché è così che va chiamato) di 2000/2400 euro al mese?
No! Non esiste; esiste invece, anche per il grillino, in Parlamento come nella tanto vituperata Regione Lazio, la possibilità che con appena una Legislatura alle spalle possa godersi una pensione dorata.
Tutto questo alla faccia della vergognosa campagna portata avanti per anni (spesso con la complicità di un certo modo di fare "informazione") che ha solo contribuito ad infiammare un esagerato clima di odio tra gli Italiani. Evidentemente però, anche alla luce dei sondaggi sempre più impietosi, quella campagna così violenta, si è rivelata assolutamente inutile e porterà da qui a poco alla loro definitiva estinzione, come è giusto che sia.
Buon 2020 a tutti noi che abbiamo comprato spumante con soldi guadagnati e non Champagne con quelli percepiti con il reddito di cittadinanza.

24.12.19


Buonasorte a tutti!


Buonasorte a chi soffre (non s’offre, con l’apostrofo, dei quali abbiamo avuto innumerevoli cattivi esempi) affinché il Santo Natale porti almeno un po’ di serenità. Spesso sono proprio le persone più sofferenti ad avere una dignità davvero fuori dal comune; quella dignità che alberga negli uomini e nelle donne più umili e che dovrebbe servire come esempio, come faro, per i tanti individui animati da una arroganza e da una cattiveria che spesso sono figlie del potere il quale, se non bene gestito, porta inesorabilmente all’isolamento, all’oblio, quando viene meno.
Buonasorte agli Amici, quelli veri.
L’amicizia è il sentimento, almeno per chi scrive, più importante; se gli amici d’infanzia rimangono tali anche dopo trenta, quaranta, o cinquant’anni, significa che si ha a che fare con persone perbene. E’ proprio nell’età della fanciullezza e dell’adolescenza – quella in cui si è più istintivi – che emerge il vero carattere (se si è buoni o non lo si è si vede già in quegli anni). Ricevere, ad esempio, come capita a chi scrive, i soliti doni di Natale, e poter leggere sui biglietti che li accompagnano frasi talmente belle da far ritenere più prezioso il bigliettino del dono stesso, ti fa star bene, ti ripaga di cattiverie subite…
Buonasorte agli avversari, quelli leali.
In politica, si sa, le “guerre” più spietate spesso si consumano all’interno del proprio partito piuttosto che tra avversari.
Ma anche tra gli avversari non mancano le persone scorrette; a quelle leali invece va il mio sincero augurio di Buone Feste; giungano – questi auguri – al Senatore Lucherini, duro avversario per più di trent’anni, ma dotato di una non comune dose di correttezza, e al Presidente Leodori, del quale ho potuto apprezzare una grande umanità.
Buonasorte alla politica, quella onesta.
Un tempo, soprattutto per chi militava a destra, quella dell’onestà doveva essere una cosa ovvia, naturale, quasi una precondizione per fare politica in quella parte del campo.
Oggi si affrontano tanti temi, per carità, tutti giusti: quello dell’immigrazione, della lotta alla povertà, dei mutamenti climatici, del contrasto a tutte le mafie, della sicurezza…
Ma la parola “onestà”, quella – se non genericamente – viene sempre meno citata, quasi fosse “fastidiosa”.
L’unico leader politico che non solo a chiacchiere, ma anche con provvedimenti esemplari, combatte il fenomeno della corruzione e dunque predica onestà, è Giorgia Meloni, ed è forse anche per questo motivo, insieme a tanti altri, che sta diventando (come abbiamo scritto qualche giorno fa su questo blog) un leader sempre più affidabile e che da qui a qualche tempo probabilmente troveremo a Palazzo Chigi; a lei giungano i miei auguri personali e quelli degli amici di questo nostro blog.
E poi un buon Natale a tutti, affinché il 2020 porti un po' di serenità di cui abbiamo davvero bisogno in quest'epoca caratterizzata da tanta superficialità, nel segno - come detto in precedenza - dell'amore per chi "soffre" per gli "amici veri", per gli "onesti", per chi è "leale", 
Un "buon Natale" non può mancare alla mia amata Famiglia, ai colleghi di lavoro, e "buon Natale" anche al Presidente Pirozzi, persona davvero speciale.
Buone feste e Buonasorte a tutti!

15.12.19

Patrimonio immateriale dell’umanità 
anche l’Alpinismo e la Perdonanza Celestiniana

Transumanza, l’Unesco ha detto sì


E il Mibac costituisce la Commissione per interventi siti Unesco, 
presieduta da Carla Di Francesco


di Anna Beatrice d’Assergi

E’ fatta. L’Unesco ha detto “sì”, la Transumanza è patrimonio immateriale dell’umanità, lo ha deciso all'unanimità il Comitato riunitosi a Bogotà, e con lei lo sono anche l’Alpinismo e la Perdonanza Celestiniana. Non solo vince l’Italia: vince l’Abruzzo, che nella sua morfologia ricomprende tutte e tre queste fenomenologie. Nel centro Italia, infatti, è noto l’impegno di Amatrice in questa battaglia per il riconoscimento di questa antica pratica: Amatrice, oggi nel Lazio, fino al 1927 era situata in Abruzzo, precisamente in provincia de L’Aquila. La Transumanza, che vede Amatrice tra i suoi maggiori sponsor per la candidatura andata a buon fine, è l’origine anche della fama mondiale di questo spicchio di mondo, recentemente su tutte le prime pagine e in tutti i telegiornali a causa del maledetto sisma che l’ha devastata nel 2016. Ma Amatrice, famosa lo era già da prima, per via del suo piatto, l’Amatriciana. E l’Amatriciana nasce proprio lì, tra i pastori transumanti, che discendendo le montagne per raggiungere con le greggi le pianure, portavano con sé spaghetti, guanciale e pecorino. Il pomodoro è arrivato dopo, si sa. Questa terra che ha sofferto una devastazione senza pari, ha trovato la forza di rinascere dalle sue tradizioni, dalla sua storia: l’Amatriciana ormai è al traguardo della qualifica STG, la Transumanza è patrimonio dell’umanità: e Amatrice ha fatto la sua parte con un coraggio esemplare, ha ingoiato le lacrime e ha lottato con ogni mezzo per sostenere queste due battaglie, e le ha vinte. Tutte e due.
Ma, dicevamo, l’Abruzzo. L’Abruzzo forte e generoso, quell’Abruzzo che dieci anni fa ha visto L’Aquila crollare sotto i colpi del terremoto, e non si è arreso, e con lui la grande città dell’Aquila, altro esempio di coraggio, di fede, di tenacia. La Perdonanza Celestiniana: la Bolla del Perdono di Celestino V  - siamo nel 1294, in pieno Medioevo – con cui il Pontefice concesse l’indulgenza plenaria a chiunque fosse entrato a Collemaggio. 725 anni di storia, gelosamente custodita dagli Aquilani nonostante tutto, oggi sono patrimonio mondiale. E, ancora, l’Alpinismo. L’alpinismo si pratica in molte zone montane del Belpaese, e tra queste c’è – ancora una volta – l’operoso e coraggioso Abruzzo.
Adesso si tratta di non disperdere questa opportunità: questa occasione è unica e il centro Italia deve, più di altre zone dello Stivale, farsi carico della responsabilità di cogliere l’attimo e di non vanificare il lungo impegno di tanta gente. Ad Amatrice – lo dice il Comune in una nota alla stampa – intorno alla Transumanza si sono radunate tantissime realtà locali: persone, associazioni, gruppi di lavoro. Tutti insieme, superando ogni tipo di divisione, si sono messi al lavoro, trovando un comune denominatore: la loro storia, le loro radici. Ammirevole, quel che è successo in quell’angolo di mondo al confine tra Lazio, Marche e Abruzzo, con una città che non c’è più, con un popolo che ancora piange i suoi morti sotto le macerie e che non ha più una casa, e che – nonostante questo – con anima e cuore, e mani, e testa, si mette al servizio di un passato che deve essere anche presente e soprattutto futuro.
Ora la sfida è tutta nelle mani delle comunità, che dovranno essere in grado di sostenere il peso di un onore così grande: essere portatrici del testimone alle future generazioni di qualcosa che esiste da quando esiste l’uomo, di qualcosa che è destinato a restare nella storia dell’umanità. E sta, anche, alle Istituzioni: anche a queste va un plauso per aver voluto puntare sulle radici, sulla storia, sulle tradizioni più radicate di un popolo. E anche per esse vale lo stesso monito: non sia sprecata questa occasione.
A questo proposito c’è da dire che Franceschini probabilmente ha capito e ce la sta mettendo tutta: è stata infatti costituita la nuova Commissione per la valutazione degli interventi da finanziare ai sensi della legge 77/2006: meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Ma al di là delle polemiche, che non fanno bene a nessuno, soprattutto in un momento di grave crisi valoriale come quella che stiamo tutti vivendo, andiamo ai termini della questione. La legge 77/2006 si occupa di “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti e degli elementi italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella ‘lista del patrimonio mondiale’, posti sotto la tutela dell’UNESCO. La presidenza della Commissione – che è organo consultivo ed è chiamata ad esprimere il proprio parere al Ministro sugli interventi da prediligere e sulla ripartizione delle risorse a disposizione per i siti ed elementi Unesco - è affidata a Carla Di Francesco, già Segretario generale del Ministero, ora Commissario della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali. L’Unesco richiede espressamente piani di gestione e salvaguardia, quali strumenti atti ad assicurare la conservazione degli elementi in questione e a creare le condizioni per la loro valorizzazione. E la legge c’è, appunto, dal 2006 (la Convenzione Unesco è del 2003). Dunque il Ministro non ha certo “inventato l’acqua calda”, però resta il fatto che la costituzione di una Commissione ad hoc è quanto di più concreto ad oggi si potesse fare per creare le condizioni per affrontare un futuro che potrebbe prospettarsi ricco di possibilità. La Commissione vede anche la presenza di tre rappresentanti ciascuno per il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – promotore, tra l’altro, della candidatura della Transumanza per l’Italia – e per il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Insomma, se consideriamo che Carla Di Francesco è stata Segretario Generale – e dunque conosce bene le problematiche del sisma del centro Italia dopo il sisma del 2016 perché se ne è occupata in prima persona – e che i tre Ministeri chiave sono ben rappresentati in Commissione, c’è da augurarsi che gli elementi ascritti alla Lista dell’Unesco quali Patrimonio Immateriale dell’Umanità siano sulla strada di una giusta valorizzazione e tutela. I vertici dello Stato e le comunità – vere depositarie di questi Beni – dovranno ora lavorare insieme per far sì che il pronunciamento dell’Unesco non resti solo un bel gagliardetto da esporre sui cartelli di benvenuto dei paesi coinvolti.

12.12.19


Marta Cartabia è il nuovo Presidente della Corte Costituzionale
Per la prima volta lo scranno più alto di Palazzo della Consulta 
si tinge di rosa “Spero di fare da apripista”

LA FORZA DELLA DONNA


di Roberto Buonasorte

Già nel pezzo di martedì, facendo riferimento alle reali possibilità che per la prima volta in Italia potrebbe essere eletto un Primo Ministro donna, abbiamo ripercorso la lenta ma inarrestabile maratona che sta portando avanti Giorgia Meloni.



Mercoledì invece abbiamo appreso che la Finlandia ha eletto la Premier più giovane di sempre: Sanna Marin, 34 anni, che si è subito caratterizzata per aver formato una squadra di governo per la maggior parte al femminile.  Proprio mentre andavamo a scoprire il profilo di questa giovane donna - tra l'altro cresciuta in una famiglia "arcobaleno" avendo avuto due mamme - leggevamo che in materia di diritti civili la Finlandia è al quarto posto al mondo mentre l'Italia è al 70mo...



Ieri il prestigioso Time indicava Greta Thunberg, per tutti ormai semplicemente Greta “Persona dell’Anno”. 

E sempre ieri, da noi, Marta Cartabia -  giurista ed accademica - veniva eletta Presidente della Corte Costituzionale.
E' la prima donna ad occupare lo scranno più alto di Palazzo della Consulta e che succede a Giorgio Lattanzi.



Nominata nel settembre del 2011 a Giudice della Corte, la Cartabia si è laureata in giurisprudenza all'Università degli Studi di Milano, Relatore durante la discussione della sua tesi è Valerio Onida, che poi diverrà anch'egli Presidente della Corte.



Dopo la elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati a presidente del Senato - dunque seconda carica dello Stato - in una perfetta alternanza di genere arriva  una donna (la Cartabia appunto) a ricoprirne la quarta: Mattarella, Casellati, Fico, Cartabia
L'anno che sta per concludersi ha visto anche altre donne andare a ricoprire posti strategici come ad esempio Ursula von der Leyen, divenuta Presidente della Commissione Europea e Cristine Lagarde Presidente della Banca Centrale Europea.

Insomma una vera rivoluzione culturale, iniziata nel nord del Vecchio Continente già nel secolo scorso quando la Baronessa Margaret Thatcher nel maggio del 1979 fu la prima donna a varcare l'ingresso del 10 di Downing Street. 



Ma questo cambiamento - per fortuna, aggiungiamo noi - sta contagiando davvero tutti: una "rivoluzione dolce", potremmo chiamarla,  che parla al femminile, abbraccia i temi dell'ambiente e che vede nei giovani i veri protagonisti del domani.
Facce pulite, studenti universitari, uomini e donne impegnati nel volontariato, ricercatori, amanti della buona musica e di una televisione di livello; di tutto questo ha bisogno anche la politica, per creare un insieme di eccellenze da mettere a sistema come progetto da offrire alle nuove generazioni.
Il tutto, ancor meglio, se tinto sempre più di rosa. 



10.12.19


Se la leader di Fratelli d’Italia ragionasse per il proprio interesse
farebbe melina, prenderebbe tempo

ALLA MELONI NON CONVERREBBERO 
LE ELEZIONI ANTICIPATE…

Essendo invece una vera Patriota, lavorerà per l’interesse nazionale



di Roberto Buonasorte

Se Gianfranco Fini non avesse fatto due tre cazzate gigantesche oggi sarebbe il capo del centrodestra con l’ambizione, addirittura, di diventarlo anche di quello europeo.
Prima cazzata: abbandonare i tifosi della propria curva per piacere a quella avversaria (procreazione assistita, superamento del modello di famiglia tradizionale…) morale, perdi il consenso sia di una che dell’altra, di curva..
Seconda: fare da sponda a certa magistratura convertendosi ad un fiero giustizialismo; ma non sei né credibile né affidabile se sei stato per anni alleato di Silvio Berlusconi.
Terza: la vicenda di Montecarlo, che anche per il diretto coinvolgimento di chi scrive, si preferisce non tornarci su per l’ennesima volta, tanto è nota a tutti.
25 anni dopo, era il 1994 quando la Casa delle Libertà, nel mese di marzo, andò inaspettatamente al Governo, per Giorgia Meloni si prefigura lo stesso scenario di allora, con la differenza che oggi il partito con maggiore consenso è la Lega e Forza Italia ha le percentuali che aveva invece Umberto Bossi in quel tempo.
A Fini sarebbe bastato star fermo, non muoversi di un millimetro e il potere gli sarebbe arrivato in modo quasi naturale, per eredità, diciamo…
Giorgia si trova in una condizione diversa; innanzitutto con Salvini è coetanea e dunque la leadership si conquista con i numeri e non viene “tramandata” per ragioni anagrafiche; e i numeri, quelli che abbiamo potuto monitorare da luglio ad oggi cioè negli ultimi sei mesi, ci dicono che Salvini ha perso quasi dieci punti e la Meloni ha raddoppiato passando dal 6 all’11,3%.
Morale: se si andasse al voto oggi, sarebbe quasi inevitabile che a guidare il Governo sarebbe un leghista, ma se l’andamento sul consenso elettorale di Lega e Fratelli d’Italia dovesse continuare in questo modo è facilmente immaginabile che da qui ad un anno i due partiti sarebbero praticamente appaiati, nei sondaggi.
E dunque potrebbe essere proprio Giorgia Meloni la più adatta per il ruolo di Presidente del Consiglio, e ciò per diverse ragioni.
Innanzitutto sarebbe la prima donna nella storia a ricoprire il ruolo di Primo Ministro, può inoltre vantare – a differenza di Salvini – una coerenza nel posizionamento politico del partito all’opposizione “mai con il PD mai con i 5 Stelle” vanno ripetendo i suoi ad ogni occasione utile, e soprattutto sarebbe vista enormemente più affidabile anche oltre il confine nazionale.
In Europa infatti la Meloni ha posizionato il partito nella famiglia dei “Conservatori e Riformisti” del quale ricopre l’importante incarico, con Raffaele Fitto, di co-presidente del Gruppo.
Anche il “silenzioso”, ma sempre più chiaro “allontanamento” della Meloni da Marine Le Pen e il suo “Rassemblement National” la dice lunga sul percorso ormai intrapreso e che non consente più né “deviazioni” né tantomeno “retromarce”.
Un percorso dunque, quello tracciato da Giorgia Meloni, ormai chiaro e ambizioso; ma non sfrenato ed irresponsabile da anteporre gli interessi personali a quelli del Paese.
Se infatti, come si diceva in precedenza, avesse a cuore solo i propri interessi, le elezioni anticipate non le converrebbero, farebbe melina, prenderebbe tempo in attesa di calare la sua candidatura a Premier, ma siccome ella si è dimostrata una vera Patriota lavorerà per l’interesse nazionale, dunque – ragiona – prima questo Governo va a casa meglio è per gli italiani.
Prima gli italiani dunque, il tempo delle soddisfazioni personali arriverà.
Inevitabilmente.




8.12.19


Greccio, il Presepe
e il senso di appartenenza 
di un popolo

Il messaggio della nascita di Gesù
e quello di San Francesco d’Assisi
in un luogo semplice e straordinario

di Anna Beatrice d’Assergi

Il Presepe di Greccio non è solo la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi di Giotto nella Basilica superiore di Assisi. È il “primo presepe”, quello di San Francesco, quello da cui trae ispirazione tutto il mondo cattolico per celebrare anche per immagini la festa più importante dell’anno: il Natale, la nascita di Gesù. È il Presepe a ricordarci cos’è il Natale, non una fiera di doni e cibo in tavola, non il consumismo che si consuma tra lucine colorate e spettacoli, ma l’intima essenza della religione cristiana, la nascita del Figlio di Dio, venuto sulla terra a salvare l’umanità. Non si dica che è anacronistico, tutto questo, né che “i tempi sono cambiati”. I tempi   sono cambiati, certamente, ma la verità storica (e spirituale per chi crede) è una sola.
Nell’era del consumismo è normale che ci sia una corsa ad allestire la vetrina più bella, a preparare il panettone più buono (e viva sempre le produzioni artigianali, abbasso la produzione di massa), a fornire il massimo dei servizi al consumatore: è normale ed è anche giusto, l’economia è da sempre il motore della società, le famiglie si sostentano con l’economia che gira e non certo con la reclusione in preghiera e basta.
Tutto giusto e sacrosanto, ci mancherebbe. Ma non dimentichiamo mai il senso vero delle cose, facciamo sì che il nostro pensiero sia rivolto prima all’intimo significato di una giornata, di una festa, di un evento, e poi al resto.
Il Presepe di Greccio è altamente simbolico perché è il primo. Era il Natale del 1223 quando il Poverello di Assisi scelse proprio questo piccolo borgo del reatino per realizzare il primo Presepe della storia. Somigliava molto ai luoghi in cui nacque Nostro Signore, quel piccolo borgo, povero, semplice, meravigliosamente umano. Fu quel luogo semplice e povero a potersi onorare della nascita del primo presepe, così come il luogo semplice di Betlemme aveva avuto il privilegio della nascita di Gesù.
Greccio è luogo sacro, per questo, non c’è dubbio. Dal 1972 la Pro Loco di Greccio rappresenta ancora oggi quell’evento, con la Rievocazione storica del Presepe di Greccio, per sei sere dal 24 dicembre al 6 gennaio.
Non è un caso che il Pontefice si sia recato di recente proprio in quel luogo così semplice e speciale. Sarà l’occasione non solo per tornare a vivere il Natale con lo spirito giusto, ma anche per perpetuare il messaggio di San Francesco d’Assisi, il Poverello che chiamava “Sorella” anche la Morte.

6.12.19


QUANDO A TORDI
E QUANDO A GRILLI…
E’ la storia di questa nostra Italia
Tutti fascisti e poi tutti antifascisti
Tutti democristiani, craxiani e poi berlusconiani.
Pure finiani, renziani, grillini e oggi salviniani…


di Roberto Buonasorte

Quando a tordi e quando a grilli...
Proprio così, è la storia di questa nostra Italia, e quando scriviamo “grilli” ci riferiamo proprio ai “grillini”, intesi come specie politica non animale, che – in spregio a tutti quelli che c’erano prima di loro – hanno saputo diffondere solo odio, hanno teorizzato la decrescita felice, hanno occupato scranni parlamentari persone che per una buona parte non aveva mai presentato una denuncia dei redditi prima di allora: buoni a nulla che in perfetta coerenza con il loro modo di vivere infatti, hanno portato a casa la battaglia più "significativa", il reddito di cittadinanza; persone aliene ad ogni forma di sacrificio vengono pagate per starsene a casa sdraiate sul divano  a consumare quintali di patatine che poi, di conseguenza, per via dell’obesità acquisita, diventa pure un costo per il sevizio sanitario pagato da tutta la collettività…
Mi dice il vecchietto che abita di fronte casa: "Robe', una volta è vero che un po' magnavano, ma facevano sta' bene a tutti, oggi magnano solo loro...".
Quando a tordi e quando a grilli...
Per carità qui non si vuole giustificare alcun malaffare o comportamenti contro legge, ci mancherebbe altro... Ma non si può neppure passare da un'Italia dove tutti si rivolgevano al politico di turno affinché si interessasse ad una pratica, ad una Italia dove se chiami il Primario per informarti sulle condizioni di un paziente ricoverato, rischi di essere denunciato  per "Traffico di influenze illecite".
Quando a tordi e quando a grilli...

All'inizio, vedendo alcuni conoscenti divenuti improvvisamente "grillini" ma che fino a poco tempo prima facevano la fila fuori la mia porta - e non certo per parlare di filosofia - la rabbia mi saliva vertiginosamente, oggi di fronte al fallimento dei loro rappresentanti, alle inchieste giudiziarie che li stanno travolgendo, agli scandali che emergono, in un primo momento godo, poi vengo avvolto da un sentimento di tristezza; non certo per loro, che prima spariscono meglio è, ma per la nostra Italia, per gli italiani che per un decennio si sono fatti "infinocchiare" da questi "venditori di fumo".

Quando a tordi e quando a grilli...
D'altra parte perché stupirsi?
Nel secolo scorso fino ad un certo punto erano tutti fascisti poi, nel giro di una notte sono divenuti tutti antifascisti; si affidarono - gli italiani - in vari periodi, prima ai democristiani e poi ai craxiani, scoppia tangentopoli e diventano finiani, scende in campo Berlusconi mollano Gianfranco per seguire il Cavaliere il quale, come cade in disgrazia non lo saluta più nemmeno l'usciere, e si "innamorano" del bullo di Firenze.
Tutti con Renzi, ma come perde il Referendum impazziscono per i grillini e nel 2018 eleggono oltre 300 parlamentari, nasce il governo gialloverde ma dopo pochi mesi si pentono - gli italiani - e ora si affidano a Salvini.
Quanto dureranno questi leader che crescono troppo velocemente? forse alla fine la scelta della Meloni - quella della crescita lenta ma inesorabile - fatta di radicamento e coerenza sarà quella che alla lunga pagherà, come del resto i sondaggi dimostrano in modo sempre più chiaro.
Non vogliamo più una Italia che vive quando a tordi e quando a grilli, la vorremmo solida, orgogliosamente sovranista, rispettata nel mondo. Dobbiamo mettercela tutta senza doversi affidare al Messia di turno; e questa volta non possiamo fallire altrimenti dovremmo dare ragione a Mussolini quando diceva "governare gli Italiani non è difficile, è semplicemente inutile".





3.12.19


MARCO PANNELLA


UN GIGANTE RISPETTO A CERTI NANI 


di Roberto Buonasorte

Quando superi i cinquanta e ti guardi dietro, quando rivedi le tue foto di bambino emigrante, quando fai per una vita politica controcorrente e nonostante tutto hai avuto le tue belle soddisfazioni, non c’è bisogno che fai il politicamente corretto.
Non hai bisogno di fare “slurp” al capo del partito con la speranza che ti porti in Parlamento; no, quando hai la dignità, quella vera non quella urlata nei comizi, puoi permetterti di scrivere ciò che pensi senza la paura di far arrabbiare chi non la pensa come te .
Dicasi coraggio, dicasi libertà.
Oggi vorremo ricordare Giacinto Pannella, che però per tutti era Marco, il leader dei Radicali, che a modesto pensiero di chi scrive, nello scenario politico è stato un vero gigante per almeno cinquant’anni della vita repubblicana italiana.
Cinquanta sigarette al giorno per almeno sessant’anni, ha fumato, e poi il rifiuto di ricevere le cure mediche nei momenti di grandi crisi (eppure l’ha sempre scampata…) le maratone oratorie, l’intuito di Radio Radicale con le sue interminabili dirette, la Rassegna “Stampa e Regime” condotta magistralmente dall’indimenticabile Massimo Bordin, i famosi “filo diretto” senza filtri che consentiva a tutti di dire in quaranta secondi ciò che voleva – improperi compresi – e che tanto scandalo fece in una Italia tutta pulitina e perbenista…
E poi Cicciolina portata in Parlamento, la battaglia referendaria per il divorzio che pure i nostri padri missini insieme a quelli democristiani osteggiarono ma che contro ogni previsione persero. La battaglia sul caso Tortora...
Quando scoppia “tangentopoli” noi eravamo a tirar monetine a Craxi e Pannella convocava i parlamentari raggiunti da avviso di garanzia alle sette del mattino a Montecitorio.
Oggi se si riceve un avviso di garanzia o addirittura si viene condannati in primo e secondo grado ci si appella – giustamente – alla presunzione d’innocenza fino all’ultimo grado di giudizio.
E ancora, la storica battaglia per la legalizzazione (non liberalizzazione) delle droghe affinché potesse esserci una distribuzione controllata dallo Stato senza che ci fosse l’arricchimento delle mafie e della criminalità organizzata.
Sono solo alcuni dei grandi temi che Marco Pannella – insieme alle tante battaglie condotte sulla giustizia – ha portato avanti sia da Consigliere comunale di Roma e Napoli, ma poi come parlamentare italiano e financo europeo.
E poi gli scioperi della fame, le “provocazioni” fatte distribuendo erba in piazza, le grandi lotte di civiltà condotte insieme a Rita Bernardini per denunciare lo stato vergognoso in cui vivevano e vivono ancora i detenuti nelle carceri italiane.
Insomma un grande liberale è stato Marco Pannella, e ci manca quella voce rauca interrotta dai colpi di tosse frutto delle troppe sigarette fumate, ci manca la sua audacia, il coraggio di portare avanti le sue tesi anche se spesso non le abbiamo condivise.
Ma a ben riflettere – anche nel campo del centrodestra – si condannava Pannella quando era per il divorzio e devi prendere atto non c’è stato un solo leader del centrodestra (Berlusconi, Fini, Bossi, Casini...) che sia stato regolarmente sposato con la stessa persona sin dall’inizio.

Insomma Marco Pannella è stato davvero un precursore dei tempi e la sua unica “colpa” forse è stata quella di vedere troppo a lungo, di essere stato un modernizzatore nato troppo presto; se avesse vissuto la sua gioventù nei tempi odierni, anziché in quello degli anni sessanta e settanta, lo avremmo visto probabilmente organizzare le piazze di Bologna e Rimini al posto delle “Sardine”.
Ultima annotazione: la battaglia di Pannella per portare Israele nella Unione Europea, prima o poi si avvererà?

1.12.19

Commissario europeo per la cultura:
stavolta ha ragione Franceschini



di Anna Beatrice d’Assergi

“La decisione della Presidente Ursula von der Leyen, che ringrazio per sensibilità e intelligenza politica, restituisce dignità alla cultura, riparando così all’errore commesso nel non aver previsto una delega specifica per un settore fondamentale per l’Unione Europea. Il nostro continente è il principale produttore e consumatore di contenuti culturali e creativi, parte determinante della nostra economia e pilastro fondante della nostra identità culturale”.

È uno stralcio da un comunicato diffuso qualche giorno fa dal Ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo Dario Franceschini. Sono parole che il Ministro ha pronunciato al Consiglio dei Ministri europei della Cultura. E stavolta Dario ha ragione, perché l’Europa è una realtà complessa, complicata e composta di tantissimi aspetti, tutti importanti, ma ha bisogno anche di mostrare il suo peso culturale nei confronti del mondo intero. 
Del resto, il concetto di Europa è di per sé un concetto culturale: nasce nel Medioevo, epoca di grandi mutamenti e troppo spesso erroneamente stigmatizzata come epoca oscura. Fu tutt’altro, invece: non a caso l’Europa nasce lì, in un percorso durato mille anni, ed è proprio in quei mille anni che il nostro continente ha trovato una conformazione non solo geografica, ma politica, culturale, identitaria. All’epoca questa unità di intenti si trovò nel Cristianesimo, che fu il collante di tanti popoli, culture, tradizioni, usi e costumi diversi. Oggi probabilmente le cose sono un po’ diverse, ma di certo quel concetto di Cristianesimo unificante, che tanto ha dato alla storia dei popoli del mondo, resta alla radice della cultura europea. E dunque l’Europa, la cultura, il peso della cultura europea nel mondo, riassunti nelle parole del Ministro Franceschini quando ha detto ancora: “Adesso anche in Europa dobbiamo avere la capacità di passare da politiche difensive a politiche coraggiose  per esportare i nostri contenuti e creare piattaforme europee. Nel contesto globale la dimensione europea è quella minima per avere forza contrattuale davanti alle grandi multinazionali e ai giganti della rete”.

Un’idea che il ministro italiano ha condiviso con il suo omologo tedesco, Michelle Muntefering: insieme hanno affermato l’intento "di rafforzare la cooperazione tra Italia e Germania nelle politiche culturali per farle diventare centrali nelle scelte dell'Unione europea". E ancora sempre Franceschini aveva precisato, circa l’assenza di questa figura: "E' un limite e un errore che va corretto, soprattutto perché in Europa investire in cultura significa investire anche in economia. Se ci sedessimo al tavolo con qualunque altro Paese nel mondo come Europa, saremmo infinitamente più forti".

Sottolineiamo: “[…]investire in cultura significa investire anche in economia. Se ci sedessimo al tavolo con qualunque altro Paese nel mondo come Europa, saremmo infinitamente più forti”. È proprio così, e speriamo che dunque la strada ora sia quella giusta. Stavolta Dario ci è piaciuto



28.11.19


Entra in azione!
Con Calenda e Richetti?






di Roberto Buonasorte

Scrivere è bellissimo perché “costringe” a pensare, correggere il pezzo, rileggerlo più volte, scovare la notizia, fare ricerca storica.
Insomma occorre pensare prima di scrivere e non scrivere – come spesso accade nell’era della velocità – senza pensare.
E così quando la scorsa settimana abbiamo visto le immagini di Calenda e Richetti (quest’ultimo con tanto di zainetto sulla spalla a mo’ di grillino della prima ora) entrare nella sede della Stampa Estera a Roma per presentare l’ennesimo partitino che affollerà la scheda elettorale, la curiosità era tanta.
In realtà sembravano due sfigati in cerca non si sa bene di cosa, e per giunta anche un po’ arrogantello – il Calenda – che ha detto che scende in campo con convinzione e che punta almeno al 10%, altrimenti nemmeno si “scalda”
Ma si rendono conto Calenda e Richetti quanta fatica ci vuole per convincere un italiano su dieci a votare per loro? Calenda poi, con quella faccia da saputello che pretende di spiegare al mondo intero come vanno le cose, è davvero insopportabile. 
Poi quel nome, “Azione”, scritto addirittura in corsivo, quasi a voler dargli quella dinamicità che manca proprio al duo di cui sopra…
Sembrano la copia di Giovanni Toti, che con quel suo modo mite di fare, per rendere almeno un po' attraente il suo partitino, al nome “Cambiamo” ha dovuto persino aggiungere un punto esclamativo, e così dopo averne viste davvero tante ci mancava solo questa; eravamo rimasti all’Avanti!, con il punto esclamativo, ma quello era un giornale, mica un partito...
Poi lo slogan, “Entra in Azione”, e qui la memoria è andata immediatamente ad “Azione Giovani”, l’organizzazione giovanile di Alleanza nazionale che prese il posto del glorioso Fronte della Gioventù, di cui mantenne la fiaccola, impugnata con fierezza.
Questa cosa la sappiamo tutti non c'è bisogno di fare ricerche su internet. Quelli di destra lo sanno a memoria: “Entra in Azione” era uno dei più noti slogan dell’organizzazione di destra; ne furono attaccati centinaia di migliaia di quei manifesti, entrarono davvero in azione migliaia di giovani animati da uno spirito militante che ci invidiavano tutti i partiti.
Ma ce le vedete voi diverse generazioni di giovani caricati a mille da un Giovanni Toti per il solo fatto di aver aggiunto un punto esclamativo al nome del suo partito? O dall’altra parte, pensano, Calenda e Richetti, di raggiungere il 10% (seguono faccine sorridenti) per il solo fatto di aver scelto un nome dinamico e scritto rigorosamente in corsivo – altre faccine – ma siamo seri…
Ma chi gliela cura la comunicazione? "Ma sono del mestiere questi?" Come chiese  Checco Zalone in una divertentissima scena di "Quo vado?"...
In realtà per chi come noi, ancora innamorati della politica fatta di fatica, territorio, militanza, radicamento, meritocrazia, vedere la superficialità con cui nascono questi partitini dal nulla, dall’oggi al domani, senza storia alle spalle, fa davvero rabbia.
Ma passerà anche questa, passerà il tempo della superficialità, quello del consenso facile - che come arriva con altrettanta facilità svanisce - e tornerà, forse, la buona politica; quella fatta da persone perbene, che non si vergognano di definirsi politici, di servire le proprie comunità, ad ogni livello, con tanta passione, onestà, e soprattutto competenza, dote questa sempre più rara.
Ma arriverà il tempo in cui sorgerà una nuova alba, perché - come dicevano i vecchi saggi - più scuro di mezzanotte non si potrà mai fare...


26.11.19


Lo apprendiamo dall’ultimo rapporto ISTAT

UN RAGAZZO SU TRE
HA GENITORI NON CONIUGATI



La Toscana è la regione con la percentuale più alta
E nella classifica dei nomi più diffusi dopo 17 anni 
Francesco viene superato da Leonardo


di Roberto Buonasorte

L’ISTAT - Istituto nazionale di statistica - è un Ente pubblico di ricerca che venne istituito nel 1926 dall’allora capo del Governo Benito Mussolini.
Oggi ha un bilancio che supera i 200 milioni l’anno e vi lavorano quasi 2500 persone.
L’ISTAT nel corso degli anni ha svolto un lavoro molto importante; “fotografando” i mutamenti della società, dai costumi all’economia ci ha “raccontato” di volta in volta – attraverso la raccolta dei dati che arrivavano utilizzando diversi metodi – come gli italiani spendevano i soldi, come si differenziava il risparmio a seconda dell’area geografica, e poi la disoccupazione, le nuove povertà, il fenomeno dell’immigrazione e quello della migrazione… Insomma, un enorme scanner sempre pronto ad aggiornarci su come cambia la nostra Italia.
L’ultimo rapporto riguarda il numero delle nascite che continua a diminuire all’interno del matrimonio; infatti nell’ultimo anno sono state 297.768 cioè 20.000 in meno rispetto all’ultimo anno e ben 166.000 in meno rispetto al 2008.
I nati fuori dal matrimonio erano appena dell’8% nel 1995, si è sfiorato il 20% nel 2008 e si è superato il 32% nel 2018.
Oggi quindi un figlio su tre ha genitori non coniugati.
Ci si avvia dunque verso un modello di famiglia che si trasforma sempre più e se da una parte registriamo questo fenomeno, dall’altra prendiamo atto che i figli rimangono sempre più a lungo sotto il tetto con Mamma e Papà.
Un tempo ci si sposava prima e si dava vita ad una nuova famiglia, oggi si va via di casa più tardi possibile e non si contrae alcun tipo di matrimonio; né quello religioso e neppure quello civile.
Così come per altre abitudini, l’Italia meridionale rimane la più attaccata alle tradizioni rispetto ad altre aree geografiche del Paese.
La quota più alta di nati da genitori non sposati si registra nel centro Italia con una percentuale che supera il 38% e con il record regionale che spetta alla Toscana che sfiora il 41%.
Nel Nord-est abbiamo il 35,5%, nel Nord-ovest il 34,5% mentre risulta più contenuta la percentuale del Mezzogiorno che è del 25,8.
A livello di città invece il record lo detiene quella di Bolzano con il 46,5% di figli nati da genitori non sposati.
Anche da queste curiosità dunque, vediamo non solo come cambiano le abitudini degli italiani, ma possiamo anche trarre la ormai nota considerazione di come questa magnifica lingua di terra che si estende sul Mediterraneo, sia profondamente diversa a seconda che si viva al nord, nel centro o al sud.
Anche il fenomeno dell’immigrazione e quindi della nascita di coppie formate da un uomo o una donna di origini straniere – ci dice sempre l’ISTAT – incide sul fenomeno oggi analizzato.
Se si considerano i nati da genitori entrambi italiani non coniugati la percentuale è del 34,7; nel caso di nati fuori dal matrimonio ma da coppia mista la percentuale sale: se ad essere straniero è il padre si sfiora il 37%, se invece ad essere straniera è la madre cala al 27,2%.
L’ultima curiosità che ci fa conoscere l’ISTAT riguarda i nomi più scelti dai genitori per i propri figli, e se per quello femminile la graduatoria delle preferenze rimane invariata e vede nell’ordine prima “Sofia” e a seguire “Giulia” ed “Aurora”, per i maschietti stabile nella terza posizione rimane “Alessandro”, ma per la rima posizione - dopo 17 anni - perde il primato “Francesco” che viene spodestato da “Leonardo”.


24.11.19


Irpinia 1980


Trentanove anni fa la tragedia del terremoto: quasi tremila vittime in quei 90 secondi in cui la terra ha tremato
Le parole del Vescovo di Avellino: “Bisogna ricostruire la comunità”. Significa che l’Italia ha perso. Un’altra volta


di Anna Beatrice d’Assergi

“Bisogna ricostruire la comunità”: così su Repubblica di ieri il vescovo di Avellino monsignor Arturo Aiello, nel 39esimo anniversario del grande sisma dell’Irpinia. Fu una tragedia epocale, quasi tremila vittime, 90 secondi di terrore, di dolore, che l’Italia non può dimenticare. Il pensiero di ciascuno di noi, nelle scorse ore, è stato rivolto a quel popolo e a quel dramma, a quelle case crollate, a quelle chiese cadute, a quelle persone che in 90 secondi hanno perso tutto, 39 anni fa.
Ma se 39 anni dopo il Vescovo di Avellino dice che “bisogna ricostruire la comunità”, questo Paese ha davvero qualcosa che non va. Sono passati quattro decenni, quasi mezzo secolo. E se in Irpinia il tessuto è ancora sfaldato, significa che l’Italia ha perso per sempre.
E significa molto altro ancora: significa che il centro Italia devastato dal sisma del 2016, se si va avanti così, non ha alcuna speranza di tornare a vivere. Lì, ad Amatrice e nei territori circostanti, le persone aspettano da oltre tre anni. Qualche gru, poche, pochissime, e basta. Ancora macerie, e dove non ci sono le macerie c’è il vuoto, il nulla. Centro  Italia raso al suolo, scomparso. Chi traccerà, tra qualche secolo, la storia di questi tempi bui, disegnerà la cartina geografica di uno Stivale bucato nel mezzo. Ieri un altro Vescovo ha parlato ad un incontro dedicato alla comunicazione nel periodo emergenziale. Un Vescovo che si chiama Domenico Pompili e che sta guidando da oltre tre anni un’intera comunità che ha ferite profonde ancora aperte dopo il sisma del 24 agosto 2016. Pompili ha detto moltissime cose, come sempre molto interessanti e di sicuro impatto, sottili come lame. Ha fatto una riflessione tra l’altro su un concetto chiave: queste terre non si possono certo ricostruire in cinque anni. Ce ne vorranno dieci, forse di più. Quale compagine politica può durare tanto a lungo? Ecco perché le classi politiche che si sono avvicendate in questi anni (tre governi in tre anni, e anche tre commissari, e forse tra poco saranno quattro), non sono state capaci di predisporre nulla di adeguato all’immensa ferita del centro  Italia. Ha detto anche, il Vescovo di Rieti, che se c’è una “questione meridionale” e poi nella storia d’Italia c’è stata anche una “questione settentrionale”, oggi di sicuro c’è una “questione del centro Italia”. Insomma, il ragionamento di Pompili non fa una piega, e l’Irpinia ne è un altro tragico, triste esempio. Se l’omologo avellinese di Pompili dice, 39 anni dopo il sisma, che “bisogna ricostruire la comunità, questo Paese ha un problema grosso, con il quale prima o poi dovrà fare i conti. E saranno conti salati.
Nel 1908 un altro grande terremoto sconvolse il Belpaese: quello di Messina e Reggio Calabria. Alla metà degli anni Venti, Benito Mussolini inviò i funzionari dello Stato a verificare le condizioni in cui quelle persone vivevano, vent’anni dopo la tragedia. Trovarono baracche, persone e famiglie intere in condizioni igienico-sanitarie penose, città ancora spezzate. Poco o nulla era stato fatto in vent’anni. La storia che si ripete significa una cosa: che quella storia non ha insegnato niente a chi ha avuto il privilegio di conoscerla, di poterla osservare, studiare, capire. E, nel terzo millennio, questo non è giustificabile in nessun modo.

22.11.19


EX ILVA E ALITALIA
DUE BOMBE SOCIALI



Di Roberto Buonasorte

E’ davvero un gran casino.
Ex Ilva e Alitalia sono due bombe sociali che possono esplodere da un momento all’altro, e questo governo di incapaci e dilettanti allo sbaraglio, gioca sulla pelle di migliaia di lavoratori che rischiano di precipitare nella disperazione; senza calcolare l’enorme danno d’immagine che l’Italia subisce e che, di conseguenza, induce qualsiasi potenziale investitore, anche estero, a girare alla larga dal nostro Paese.
Alitalia fa una perdita secca di un milione di euro al giorno, ripetiamo: ogni mattina che si apre la “saracinesca” un milione di euro dei contribuenti italiani vengono dispersi, buttati, bruciati, proprio come brucia l’altoforno di Taranto, che invece rischia di spegnersi da qui a poco...
Ma se tu hai un’azienda come Alitalia – che potrebbe essere salvata con un investimento importante fatto da una cordata di cui fa parte anche la società Atlantia, controllata dai Benetton – da una parte la implori, quasi in ginocchio di intervenire, e dall’altra c’è chi minaccia, sempre Atlantia, di revocarle le concessioni autostradali, non bisogna essere un illustre accademico per immaginare che probabilmente anziché sentire i rombi dei motori degli aerei  che continuano ad accendersi, si sentiranno i rumori di sonore pernacchie.
Giusto, come ha dichiarato Di Maio ieri, che i morti di Ponte Morandi non si barattano, ma non si può nemmeno “bombardare” tutti i giorni agenzie e telegiornali minacciando di revocare tutte le concessioni autostradali.
Con l’ex Ilva va ancora peggio; qui oltre alla lotta politica è intervenuto anche il Tribunale e persino la Guardia di Finanza.
E se i franco-indiani cercavano una qualsiasi scusa per mollare l’ex Ilva, con l’emendamento grillino che ha abolito lo scudo penale, quella scusa gliel’hanno servita su un piatto d’argento; che fenomeni! Quelli della decrescita felice, quelli che odiano tutti quelli che c’erano prima di loro…
In sintesi, senza voler annoiare il cortese lettore con numeri, teoremi e pistolotti, il Governo italiano in sede di trattativa con ArcelorMittal aveva inserito lo scudo penale, una sorta di immunità rispetto alla gestione precedente e una protezione da eventuali accuse di reato nel percorso di messa a norma dell’acciaieria. Su queste basi e con questi accordi la nuova cordata aveva accettato di rilevare il colosso italiano, ovvio che se tu Governo italiano – con la partita già in corso – mi dai lo scudo, poi lo depotenzi, poi me lo ridai, ed infine me lo togli, io vado in Tribunale e deposito la richiesta di recesso del contratto.
Ovvio signori grillini, è così, ed è inutile che vi lamentate, in uno Stato di diritto le regole vanno rispettate ed i contratti onorati, altro che modifiche al Codice penale con effetto retroattivo, introduzione di norme che minano alla base le più elementari garanzie costituzionali, assurdo prevedere, con la “spazzacorrotti”, effetti retroattivi e continuare ad insistere sul blocco della prescrizione. Va invece garantito, in uno Stato di diritto, a qualsiasi imputato di arrivare al terzo grado di giudizio in brevissimo tempo, poi se si è colpevoli si sconta la pena (possibilmente tutta, senza sconti e sconticini vari) se si è innocenti devo avere la possibilità di rifarmi una vita, una credibilità, riacquistare la dignità.
E questo vale per il cittadino; figuriamoci con il bordello che c’è-come sopra descritto- chi è quel pazzo che investe un solo euro frutto della sua attività imprenditoriale in un Paese “governato” da chi si è battuto solo per il taglio dei parlamentari, e introdotto il reddito di cittadinanza, che ha avuto il coraggio di chiamarlo addirittura “reddito”, che in genere descrive il flusso di denaro che si percepisce in cambio di un’attività lavorativa svolta (la famosa denuncia dei redditi..) e non per starsene sul divano a divorare bustone di pop corn.
Complimenti!