28.11.19


Entra in azione!
Con Calenda e Richetti?






di Roberto Buonasorte

Scrivere è bellissimo perché “costringe” a pensare, correggere il pezzo, rileggerlo più volte, scovare la notizia, fare ricerca storica.
Insomma occorre pensare prima di scrivere e non scrivere – come spesso accade nell’era della velocità – senza pensare.
E così quando la scorsa settimana abbiamo visto le immagini di Calenda e Richetti (quest’ultimo con tanto di zainetto sulla spalla a mo’ di grillino della prima ora) entrare nella sede della Stampa Estera a Roma per presentare l’ennesimo partitino che affollerà la scheda elettorale, la curiosità era tanta.
In realtà sembravano due sfigati in cerca non si sa bene di cosa, e per giunta anche un po’ arrogantello – il Calenda – che ha detto che scende in campo con convinzione e che punta almeno al 10%, altrimenti nemmeno si “scalda”
Ma si rendono conto Calenda e Richetti quanta fatica ci vuole per convincere un italiano su dieci a votare per loro? Calenda poi, con quella faccia da saputello che pretende di spiegare al mondo intero come vanno le cose, è davvero insopportabile. 
Poi quel nome, “Azione”, scritto addirittura in corsivo, quasi a voler dargli quella dinamicità che manca proprio al duo di cui sopra…
Sembrano la copia di Giovanni Toti, che con quel suo modo mite di fare, per rendere almeno un po' attraente il suo partitino, al nome “Cambiamo” ha dovuto persino aggiungere un punto esclamativo, e così dopo averne viste davvero tante ci mancava solo questa; eravamo rimasti all’Avanti!, con il punto esclamativo, ma quello era un giornale, mica un partito...
Poi lo slogan, “Entra in Azione”, e qui la memoria è andata immediatamente ad “Azione Giovani”, l’organizzazione giovanile di Alleanza nazionale che prese il posto del glorioso Fronte della Gioventù, di cui mantenne la fiaccola, impugnata con fierezza.
Questa cosa la sappiamo tutti non c'è bisogno di fare ricerche su internet. Quelli di destra lo sanno a memoria: “Entra in Azione” era uno dei più noti slogan dell’organizzazione di destra; ne furono attaccati centinaia di migliaia di quei manifesti, entrarono davvero in azione migliaia di giovani animati da uno spirito militante che ci invidiavano tutti i partiti.
Ma ce le vedete voi diverse generazioni di giovani caricati a mille da un Giovanni Toti per il solo fatto di aver aggiunto un punto esclamativo al nome del suo partito? O dall’altra parte, pensano, Calenda e Richetti, di raggiungere il 10% (seguono faccine sorridenti) per il solo fatto di aver scelto un nome dinamico e scritto rigorosamente in corsivo – altre faccine – ma siamo seri…
Ma chi gliela cura la comunicazione? "Ma sono del mestiere questi?" Come chiese  Checco Zalone in una divertentissima scena di "Quo vado?"...
In realtà per chi come noi, ancora innamorati della politica fatta di fatica, territorio, militanza, radicamento, meritocrazia, vedere la superficialità con cui nascono questi partitini dal nulla, dall’oggi al domani, senza storia alle spalle, fa davvero rabbia.
Ma passerà anche questa, passerà il tempo della superficialità, quello del consenso facile - che come arriva con altrettanta facilità svanisce - e tornerà, forse, la buona politica; quella fatta da persone perbene, che non si vergognano di definirsi politici, di servire le proprie comunità, ad ogni livello, con tanta passione, onestà, e soprattutto competenza, dote questa sempre più rara.
Ma arriverà il tempo in cui sorgerà una nuova alba, perché - come dicevano i vecchi saggi - più scuro di mezzanotte non si potrà mai fare...


26.11.19


Lo apprendiamo dall’ultimo rapporto ISTAT

UN RAGAZZO SU TRE
HA GENITORI NON CONIUGATI



La Toscana è la regione con la percentuale più alta
E nella classifica dei nomi più diffusi dopo 17 anni 
Francesco viene superato da Leonardo


di Roberto Buonasorte

L’ISTAT - Istituto nazionale di statistica - è un Ente pubblico di ricerca che venne istituito nel 1926 dall’allora capo del Governo Benito Mussolini.
Oggi ha un bilancio che supera i 200 milioni l’anno e vi lavorano quasi 2500 persone.
L’ISTAT nel corso degli anni ha svolto un lavoro molto importante; “fotografando” i mutamenti della società, dai costumi all’economia ci ha “raccontato” di volta in volta – attraverso la raccolta dei dati che arrivavano utilizzando diversi metodi – come gli italiani spendevano i soldi, come si differenziava il risparmio a seconda dell’area geografica, e poi la disoccupazione, le nuove povertà, il fenomeno dell’immigrazione e quello della migrazione… Insomma, un enorme scanner sempre pronto ad aggiornarci su come cambia la nostra Italia.
L’ultimo rapporto riguarda il numero delle nascite che continua a diminuire all’interno del matrimonio; infatti nell’ultimo anno sono state 297.768 cioè 20.000 in meno rispetto all’ultimo anno e ben 166.000 in meno rispetto al 2008.
I nati fuori dal matrimonio erano appena dell’8% nel 1995, si è sfiorato il 20% nel 2008 e si è superato il 32% nel 2018.
Oggi quindi un figlio su tre ha genitori non coniugati.
Ci si avvia dunque verso un modello di famiglia che si trasforma sempre più e se da una parte registriamo questo fenomeno, dall’altra prendiamo atto che i figli rimangono sempre più a lungo sotto il tetto con Mamma e Papà.
Un tempo ci si sposava prima e si dava vita ad una nuova famiglia, oggi si va via di casa più tardi possibile e non si contrae alcun tipo di matrimonio; né quello religioso e neppure quello civile.
Così come per altre abitudini, l’Italia meridionale rimane la più attaccata alle tradizioni rispetto ad altre aree geografiche del Paese.
La quota più alta di nati da genitori non sposati si registra nel centro Italia con una percentuale che supera il 38% e con il record regionale che spetta alla Toscana che sfiora il 41%.
Nel Nord-est abbiamo il 35,5%, nel Nord-ovest il 34,5% mentre risulta più contenuta la percentuale del Mezzogiorno che è del 25,8.
A livello di città invece il record lo detiene quella di Bolzano con il 46,5% di figli nati da genitori non sposati.
Anche da queste curiosità dunque, vediamo non solo come cambiano le abitudini degli italiani, ma possiamo anche trarre la ormai nota considerazione di come questa magnifica lingua di terra che si estende sul Mediterraneo, sia profondamente diversa a seconda che si viva al nord, nel centro o al sud.
Anche il fenomeno dell’immigrazione e quindi della nascita di coppie formate da un uomo o una donna di origini straniere – ci dice sempre l’ISTAT – incide sul fenomeno oggi analizzato.
Se si considerano i nati da genitori entrambi italiani non coniugati la percentuale è del 34,7; nel caso di nati fuori dal matrimonio ma da coppia mista la percentuale sale: se ad essere straniero è il padre si sfiora il 37%, se invece ad essere straniera è la madre cala al 27,2%.
L’ultima curiosità che ci fa conoscere l’ISTAT riguarda i nomi più scelti dai genitori per i propri figli, e se per quello femminile la graduatoria delle preferenze rimane invariata e vede nell’ordine prima “Sofia” e a seguire “Giulia” ed “Aurora”, per i maschietti stabile nella terza posizione rimane “Alessandro”, ma per la rima posizione - dopo 17 anni - perde il primato “Francesco” che viene spodestato da “Leonardo”.


24.11.19


Irpinia 1980


Trentanove anni fa la tragedia del terremoto: quasi tremila vittime in quei 90 secondi in cui la terra ha tremato
Le parole del Vescovo di Avellino: “Bisogna ricostruire la comunità”. Significa che l’Italia ha perso. Un’altra volta


di Anna Beatrice d’Assergi

“Bisogna ricostruire la comunità”: così su Repubblica di ieri il vescovo di Avellino monsignor Arturo Aiello, nel 39esimo anniversario del grande sisma dell’Irpinia. Fu una tragedia epocale, quasi tremila vittime, 90 secondi di terrore, di dolore, che l’Italia non può dimenticare. Il pensiero di ciascuno di noi, nelle scorse ore, è stato rivolto a quel popolo e a quel dramma, a quelle case crollate, a quelle chiese cadute, a quelle persone che in 90 secondi hanno perso tutto, 39 anni fa.
Ma se 39 anni dopo il Vescovo di Avellino dice che “bisogna ricostruire la comunità”, questo Paese ha davvero qualcosa che non va. Sono passati quattro decenni, quasi mezzo secolo. E se in Irpinia il tessuto è ancora sfaldato, significa che l’Italia ha perso per sempre.
E significa molto altro ancora: significa che il centro Italia devastato dal sisma del 2016, se si va avanti così, non ha alcuna speranza di tornare a vivere. Lì, ad Amatrice e nei territori circostanti, le persone aspettano da oltre tre anni. Qualche gru, poche, pochissime, e basta. Ancora macerie, e dove non ci sono le macerie c’è il vuoto, il nulla. Centro  Italia raso al suolo, scomparso. Chi traccerà, tra qualche secolo, la storia di questi tempi bui, disegnerà la cartina geografica di uno Stivale bucato nel mezzo. Ieri un altro Vescovo ha parlato ad un incontro dedicato alla comunicazione nel periodo emergenziale. Un Vescovo che si chiama Domenico Pompili e che sta guidando da oltre tre anni un’intera comunità che ha ferite profonde ancora aperte dopo il sisma del 24 agosto 2016. Pompili ha detto moltissime cose, come sempre molto interessanti e di sicuro impatto, sottili come lame. Ha fatto una riflessione tra l’altro su un concetto chiave: queste terre non si possono certo ricostruire in cinque anni. Ce ne vorranno dieci, forse di più. Quale compagine politica può durare tanto a lungo? Ecco perché le classi politiche che si sono avvicendate in questi anni (tre governi in tre anni, e anche tre commissari, e forse tra poco saranno quattro), non sono state capaci di predisporre nulla di adeguato all’immensa ferita del centro  Italia. Ha detto anche, il Vescovo di Rieti, che se c’è una “questione meridionale” e poi nella storia d’Italia c’è stata anche una “questione settentrionale”, oggi di sicuro c’è una “questione del centro Italia”. Insomma, il ragionamento di Pompili non fa una piega, e l’Irpinia ne è un altro tragico, triste esempio. Se l’omologo avellinese di Pompili dice, 39 anni dopo il sisma, che “bisogna ricostruire la comunità, questo Paese ha un problema grosso, con il quale prima o poi dovrà fare i conti. E saranno conti salati.
Nel 1908 un altro grande terremoto sconvolse il Belpaese: quello di Messina e Reggio Calabria. Alla metà degli anni Venti, Benito Mussolini inviò i funzionari dello Stato a verificare le condizioni in cui quelle persone vivevano, vent’anni dopo la tragedia. Trovarono baracche, persone e famiglie intere in condizioni igienico-sanitarie penose, città ancora spezzate. Poco o nulla era stato fatto in vent’anni. La storia che si ripete significa una cosa: che quella storia non ha insegnato niente a chi ha avuto il privilegio di conoscerla, di poterla osservare, studiare, capire. E, nel terzo millennio, questo non è giustificabile in nessun modo.

22.11.19


EX ILVA E ALITALIA
DUE BOMBE SOCIALI



Di Roberto Buonasorte

E’ davvero un gran casino.
Ex Ilva e Alitalia sono due bombe sociali che possono esplodere da un momento all’altro, e questo governo di incapaci e dilettanti allo sbaraglio, gioca sulla pelle di migliaia di lavoratori che rischiano di precipitare nella disperazione; senza calcolare l’enorme danno d’immagine che l’Italia subisce e che, di conseguenza, induce qualsiasi potenziale investitore, anche estero, a girare alla larga dal nostro Paese.
Alitalia fa una perdita secca di un milione di euro al giorno, ripetiamo: ogni mattina che si apre la “saracinesca” un milione di euro dei contribuenti italiani vengono dispersi, buttati, bruciati, proprio come brucia l’altoforno di Taranto, che invece rischia di spegnersi da qui a poco...
Ma se tu hai un’azienda come Alitalia – che potrebbe essere salvata con un investimento importante fatto da una cordata di cui fa parte anche la società Atlantia, controllata dai Benetton – da una parte la implori, quasi in ginocchio di intervenire, e dall’altra c’è chi minaccia, sempre Atlantia, di revocarle le concessioni autostradali, non bisogna essere un illustre accademico per immaginare che probabilmente anziché sentire i rombi dei motori degli aerei  che continuano ad accendersi, si sentiranno i rumori di sonore pernacchie.
Giusto, come ha dichiarato Di Maio ieri, che i morti di Ponte Morandi non si barattano, ma non si può nemmeno “bombardare” tutti i giorni agenzie e telegiornali minacciando di revocare tutte le concessioni autostradali.
Con l’ex Ilva va ancora peggio; qui oltre alla lotta politica è intervenuto anche il Tribunale e persino la Guardia di Finanza.
E se i franco-indiani cercavano una qualsiasi scusa per mollare l’ex Ilva, con l’emendamento grillino che ha abolito lo scudo penale, quella scusa gliel’hanno servita su un piatto d’argento; che fenomeni! Quelli della decrescita felice, quelli che odiano tutti quelli che c’erano prima di loro…
In sintesi, senza voler annoiare il cortese lettore con numeri, teoremi e pistolotti, il Governo italiano in sede di trattativa con ArcelorMittal aveva inserito lo scudo penale, una sorta di immunità rispetto alla gestione precedente e una protezione da eventuali accuse di reato nel percorso di messa a norma dell’acciaieria. Su queste basi e con questi accordi la nuova cordata aveva accettato di rilevare il colosso italiano, ovvio che se tu Governo italiano – con la partita già in corso – mi dai lo scudo, poi lo depotenzi, poi me lo ridai, ed infine me lo togli, io vado in Tribunale e deposito la richiesta di recesso del contratto.
Ovvio signori grillini, è così, ed è inutile che vi lamentate, in uno Stato di diritto le regole vanno rispettate ed i contratti onorati, altro che modifiche al Codice penale con effetto retroattivo, introduzione di norme che minano alla base le più elementari garanzie costituzionali, assurdo prevedere, con la “spazzacorrotti”, effetti retroattivi e continuare ad insistere sul blocco della prescrizione. Va invece garantito, in uno Stato di diritto, a qualsiasi imputato di arrivare al terzo grado di giudizio in brevissimo tempo, poi se si è colpevoli si sconta la pena (possibilmente tutta, senza sconti e sconticini vari) se si è innocenti devo avere la possibilità di rifarmi una vita, una credibilità, riacquistare la dignità.
E questo vale per il cittadino; figuriamoci con il bordello che c’è-come sopra descritto- chi è quel pazzo che investe un solo euro frutto della sua attività imprenditoriale in un Paese “governato” da chi si è battuto solo per il taglio dei parlamentari, e introdotto il reddito di cittadinanza, che ha avuto il coraggio di chiamarlo addirittura “reddito”, che in genere descrive il flusso di denaro che si percepisce in cambio di un’attività lavorativa svolta (la famosa denuncia dei redditi..) e non per starsene sul divano a divorare bustone di pop corn.
Complimenti!

21.11.19


Da ieri la ricetta italiana più famosa nel mondo, dopo un lungo percorso, ha ricevuto il sigillo da Bruxelles. Va poi sottolineato che per molti non è solo un semplice piatto di pasta…


“L’Amatriciana” riconosciuta 
anche dall’Unione europea. 
La soddisfazione di Pirozzi



Comprensibile la gioia dell'ex Sindaco di Amatrice  che ha seguito l’iter sin dall’inizio, e che ha voluto ringraziare gli ex Ministri Martina e Centinaio nonché l’eurodeputato Nicola Procaccini


Di Roberto Buonasorte

Dopo un lungo percorso burocratico-amministrativo da ieri, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, è stato approvato il “Disciplinare di produzione di una specialità tradizionale garantita” dal nome “AMATRICIANA TRADIZIONALE”, così vi è scritto nell'oggetto del testo.
Intendiamoci da subito, per quei cittadini di Amatrice, o che in quel Comune sono nati, che da anni vedono usare il termine “all’amatriciana” in modo dispregiativo, questo riconoscimento non serve solo per ufficializzare il metodo corretto per preparare il piatto, ma anche per porre fine all’uso distorto – e spesso offensivo – di questo termine.
E’ interessante, scorrendo il testo pubblicato, scoprire come si è arrivati all’approvazione del disciplinare.
Si chiede ad esempio di descrivere il metodo specifico di preparazione, il comprensorio da cui trae origine la preparazione, che in questo caso è quello dei Monti della Laga; il nome che si intende dare, “Amatriciana tradizionale” è stato quello scelto motivandolo con la secolare tradizione del piatto che veniva preparato proprio nel comprensorio di Amatrice.
Ed ancora, si chiede di specificare come è ottenuto il prodotto finale, le caratteristiche organolettiche, il colore, l’aspetto, il sapore e l’odore.
La provenienza dell’ingrediente più importante – il guanciale – che deve essere di “tipo amatriciano”, che deve avere una determinata forma e che deve subire un processo di stagionatura ben determinato; gli ingredienti consigliati, come il pecorino che deve essere anch’esso del tipo Amatriciano o in alternativa il Pecorino Romano DOP del Lazio, grattugiato.
Si richiede, sempre al fine del riconoscimento, di descrivere i principali elementi che attestano il carattere tradizionale del prodotto, e qui si può leggere come questo piatto veniva preparato dai pastori durante il periodo estivo della transumanza – che li vedeva lontani da casa anche per 4/5 mesi – e come, con buoni accorgimenti, il guanciale era un prodotto che poteva essere conservato molto a lungo. Solo alla fine del 1700 – si legge ancora - nella ricetta viene introdotto il pomodoro (fino a quel momento infatti era un piatto in bianco, cioè fatto solo con guanciale e pecorino). I Napoletani sono tra i primi in Europa a riconoscere grandi pregi organolettici del pomodoro e siccome gli Amatriciani, sin dal XIII secolo ricadevano sotto la giurisdizione del Regno di Napoli, ebbero l’intuizione di aggiungerlo al piatto rendendolo così più saporito e succolento.
Infine tra le altre curiosità contenute nel provvedimento si possono leggere riferimenti storici di scrittori e poeti che parlano degli spaghetti all’Amatriciana, fino al francobollo emesso nel 2008 dalla Repubblica Italiana dedicato alla "Sagra degli Spaghetti all’Amatriciana".
In tutto questo non si può non sottolineare la soddisfazione espressa ieri da Sergio Pirozzi, che sin dal 2014 da Sindaco di Amatrice ha seguito la pratica, così come non si possono non condividere le sue parole quando dice “ da oggi stop alle polemiche sull’uso della definizione “all’Amatriciana”, che diventa ufficialmente sinonimo di tradizione e di qualità”.
Non è passata inosservata poi, sempre nella giornata di ieri, la correttezza di Pirozzi che ha voluto ringraziare i Ministri dell'Agricoltura Martina e Centinaio che si sono interessati al caso come pure, nell'ultima fase, l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Nicola Procaccini.
Un riconoscimento dunque che sancisce in modo ancor più forte il legame di quella terra con le sue radici, le sue tradizioni fatte di fierezza e sofferenza; che per molti quindi, e va sottolineato, non rappresenta solo un semplice piatto di pasta, ma molto molto di più.



17.11.19


Il disastro di Venezia, il grande cuore del volontariato, 
la passione al servizio della cultura


Quando l’acqua ti è nemica



Il dramma di Matera, 
città simbolo da salvare a tutti i costi,
e la Toscana che paga un pesante tributo


di Anna Beatrice d'Assergi


Venezia, ma non solo. C’è anche Matera tra le città d’arte devastate dal maltempo degli ultimi giorni. L’acqua, che San Francesco chiamava “sorella”, stavolta è stata nemica. Venezia è abituata a trattare con questo elemento della natura, Venezia vive sull’acqua da sempre, è il suo elemento naturale. Ma così no, così è troppo. E, al di là delle considerazioni sul clima e sui nostri tempi difficili dato l’ormai aspro rapporto con il pianeta che ci ospita (e del quale dovremmo tentare di essere degni), e stante il tema fondamentale di come aiutare le persone in casi come questo, c’è anche il tema del grande amore che l’Italia dimostra in queste circostanze per la propria memoria storica e culturale. Abbiamo visto, tutti, le immagini di Venezia, di quei libri che galleggiano, di quei pezzi di storia nostra sommersi, anneganti, e a ciascuno di noi si è stretto il cuore. Ancora una volta, ciò che colpisce a fronte di una tragedia che coinvolge moltissimi aspetti, è l’impegno profondo e appassionato di tante persone per salvare quei documenti, quei beni preziosi che fanno parte della vita, in fondo, di ciascuno di noi. Questa passione nel recupero della memoria storica dei popoli è, dobbiamo dirlo, una meraviglia tutta italiana. Non è un caso se l’Italia ha un Nucleo Tutela dei Carabinieri, che da anni ormai è uno dei fiori all’occhiello del Belpaese e che è d’esempio al mondo intero. E poi l’Italia ha il grande cuore del volontariato: è la buona volontà di tanta gente che spesso è stata determinante per la salvezza e per la salvaguardia di tanti pezzi di storia che senza un intervento appassionato e gratuito sarebbero andati perduti. Le immagini di quelle persone che, immerse nell’acqua, portavano in braccio quei fogli di carta per salvarli dal disastro, quasi fossero persone, devono essere esempio per tutti e sprone per fare sempre meglio e di più. 
A pagare un alto tributo in termini di meraviglie perdute c’è anche la Toscana. La devastazione delle meravigliose Terme di Saturnia è una ferita nel cuore del Paese. 
E poi c’è Matera. Fiumi di fango, nei giorni scorsi, hanno invaso le strade e sommerso quei Sassi che sono un simbolo non solo della bella città ma dell’Italia intera, che Matera rappresenta oggi per la qualifica che ha ottenuto di capitale europea della cultura, ma che rappresenta da sempre per sua intrinseca essenza. 
E dunque, se sappiamo bene che i temi relativi al clima non sono di semplice soluzione, vale la pena fare almeno una riflessione su quello che le persone possono fare per limitare i danni, per salvare il salvabile. 
E poi c’è un’altra questione. Quella degli sms solidali. Ma qui il ragionamento è semplice e basta dare un’occhiata ai social per capire il clima sociale sul tema. Moltissimi cittadini, da ogni dove, mostrano di aver perduto la fiducia in queste metodologie, e la cosa grave è che questa perdita di fiducia riguarda le Istituzioni dello Stato. Era ovvio che sarebbe accaduto: dopo il sisma del centro Italia, infatti, gli italiani hanno donato con amore e partecipazione al dolore delle comunità colpite, e poi si sono visti propinare una pista ciclabile, una grotta sudatoria e il restauro di una scuola in un comune ai margini del cratere sismico. Era scontato che l’istituzione più alta del Paese avrebbe perso di credibilità, ci si aspettava forse qualcosa di diverso? 
È come avere davanti due “Italie”: una bella, quella dell’amore e del volontariato, quella delle competenze messe al servizio del Paese, quella del bene donato con il cuore. E poi c’è quella di uno Stato che ha abdicato troppe funzioni. 


16.11.19

La sovraesposizione del leader leghista 
potrebbe rivelarsi un boomerang

OCCHIO SALVINI,
IN EMILIA SI RISCHIA
Matteo fa bene a spendersi per la Borgonzoni
ma non si sostituisca a lei
Si rischia che gli emiliano-romagnoli
si fidino più del Presidente uscente
Dovrebbe servire da insegnamento
quell'aneddoto che raccontò nel 1999 Guazzaloca…




di Roberto Buonasorte

"Senti, se te lo tieni per te, ti dico che a un certo punto mi chiama il Cavaliere e mi dice: "Guazzaloca, le mando un po' di manifesti in cui invito i bolognesi a votare per lei". Io gli dico: "Grazie Cavaliere, ma non li spedisca a Forza Italia, li faccia arrivare qui al mio comitato che li attacchiamo noi". Sai dove sono quei manifesti? Li ho messi in cantina. E sono ancora lì".
Si apriva così un’intervista che il neo sindaco di Bologna – era il giugno del 1999 – Giorgio Guazzaloca rilasciava ad Antonio Ramenghi per la Repubblica.
Cosa aveva intuito quella volpe del “Guazza”? Che la gara era per il primo cittadino del capoluogo emiliano, e che trasformare una competizione, seppur importante ma sempre locale, in una battaglia dove ci mettevano la faccia pesantemente i leader nazionali, lo avrebbe danneggiato.
A distanza di vent’anni il centrodestra rischia di fare il colpaccio, e se tutto andrà bene dal prossimo febbraio un’emiliano-romagnola, Lucia Borgonzoni, ne sarà il Presidente.
Ma occhio Salvini, in Emilia si rischia.
Non è l’Umbria, l’Emilia Romagna… Se nel primo caso, in una Regione con 700.000 elettori e dunque cinque volte più piccola della seconda, Salvini ha potuto fare un porta a porta scientifico con l’aggravante – per la sinistra – di aver lasciato un'amministrazione travolta da scandali ed arresti, la stessa cosa non si può dire per l'Emilia.
Il buon Bonaccini, da Presidente uscente e perfetto conoscitore di quella complessa e rodata macchina amministrativa che si intreccia con la imponente e radicata filiera della cooperazione, ha capito perfettamente il clima, tant’è che va ripetendo che dal giorno dopo le elezioni “se dovessero vincere quegli altri” –così li chiama- “a governare troverete la Borgonzoni, non Salvini…”.
Come a dire che la competizione è locale e che gli sfidanti debbono confrontarsi in prima persona e sui temi che riguardano il governo regionale e non quello nazionale; insomma – ragiona il Governatore – al di là delle polemiche che riguardano il governo centrale, io voglio essere giudicato sulla mia preparazione, sulla conoscenza della macchina e sui risultati che ho conseguito.
Matteo Salvini dovrebbe, pian piano, con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, essere sempre meno presente in modo tale da infondere nell’elettore almeno tre buone ragioni per convincerlo a votare la sua candidata; dimostrare che sa camminare con le sue gambe senza l’ausilio del suggeritore; affrontare i temi locali tralasciando l’Ilva, i barconi e via discorrendo; presentare programmi e squadra con netto anticipo rispetto al 26 gennaio.
Poi ci sarebbe il colpo da maestro che spiazzerebbe Stefano Bonaccini e l’intera coalizione a suo sostegno..
Lucia Bergonzoni dovrebbe prendere un solenne impegno con gli elettori e dire: io non mi chiamo Alessandra Moretti che candidata Presidente dal centrosinistra in Veneto – sconfitta poi da Luca Zaia – alla prima occasione unica, anziché fare il capo dell’opposizione, si è rifugiata su una comoda poltrona a Bruxelles, no, io, dovrebbe dire, anche in caso di sconfitta rimarrò cinque anni a fare l’opposizione a Bonaccini.
Sarebbe ancora più credibile, la Borgonzoni, e la sua apparirebbe davvero come una battaglia condotta per amore verso la sua terra; lo farà? Vedremo…



12.11.19


Sta per esaurirsi la fallimentare esperienza dei Cinque Stelle al Governo
Dicevano di voler cambiare il mondo, invece è stato il mondo a cambiar loro


E PURE QUESTA E’ PASSATA…

Per Giggino, Fraccaro e Bonafede  
è giunta l’ora di fare le valigie,
e finalmente il nostro Paese potrà tornare alla normalità
L’odio sociale, e la “caccia all’uomo” verso chiunque c’era prima,
sarà solo un brutto ricordo. 
Ma ora la politica faccia tesoro degli errori commessi





di Roberto Buonasorte 

Forza ragazzi! Ancora qualche settimana di tribolazione e poi finalmente ci libereremo del Governo più dannoso che l’Italia abbia mai conosciuto.
Dice qualcuno “dipende da ciò che accadrà a gennaio con le elezioni regionali in Emilia Romagna…”.
Secondo il nostro modesto parere, al di là di quell’esito, si tornerà comunque alle urne con elezioni politiche anticipate in primavera, anche se il centrosinistra (con qualche furbizia del solito Di Maio tipo patto di desistenza o diavoleria simile) dovesse prevalere, ci sono almeno tre buone ragioni che ci inducono a pensare ciò.
Il Governo cadrà per mano di Matteo Salvini che ha già pronti 10/15 Senatori grillini che di andare a sbattere – per via delle scelte di Luigi Di Maio -  non vogliono proprio saperne e che dunque son disposti (in cambio di candidature blindate) a mandare in crisi il Governo.
Poi, se si vota anticipatamente non si cambierà la legge elettorale e dunque, a legislazione vigente, il centrodestra vincerebbe in tutti (o quasi) i collegi uninominali; sommando poi i parlamentari eletti nella quota proporzionale si avrebbe un risultato clamoroso: tenendo conto degli ultimi sondaggi e in base a questi dividendo in modo proporzionale i collegi maggioritari, il centrodestra potrebbe avvicinarsi alla clamorosa cifra di quasi 400 Deputati (dai 380 ai 390 per l’esattezza secondo i nostri calcoli) con la Lega che ne eleggerebbe dai 250 ai 260, Fratelli d’Italia tra gli 80 e i 90,  Forza Italia tra i 40 e i 50.
Terza questione (ma terza non in ordine di importanza, anzi…) quella legata al taglio dei Parlamentari: con il voto anticipato non solo, come già detto, non cambierebbe la legge elettorale, ma non si taglierebbero neppure le famose 345 “poltrone” (come vengono chiamate in modo dispregiativo e rozzo dai grillini) che dunque rimarrebbero sul “piatto” e che tornerebbero molto utili quale “argomento” per convincere molti a staccare la spina.
Dopo anni di agonia dunque, sta per esaurirsi la fallimentare esperienza dei Cinque Stelle al Governo; dicevano di voler cambiare il mondo, invece è stato il mondo a cambiar loro
Per Giggino, Fraccaro e Bonafede è l’ora di fare le valigie, e finalmente il nostro Paese potrà tornare alla normalità. L’odio sociale e la “caccia all’uomo” verso chiunque c’era prima di loro sarà solo un brutto ricordo, ma ora la politica faccia tesoro degli errori commessi.
Di Maio non sappiamo cosa farà, Fraccaro tornerà ad occuparsi di ambiente ed energie rinnovabili, e Bonafede a fare l’avvocato e forse questo lo aiuterà a scoprirsi garantista, cioè esattamente il contrario di ciò che è stato da Ministro della Giustizia: “Giustizia dell’altro mondo…  come diceva l’indimenticabile Paolo Stoppa nel “Marchese del Grillo” rivolgendosi ad Onofrio (Alberto Sordi).
Ora però la politica - quella con la P maiuscola, non quella degli arroganti e presuntuosi con l’indice didattico sempre alzato, alla Eugenio Scalfari per intenderci – deve fare una profonda riflessione sugli errori commessi in passato.
Se il centrodestra ad esempio (eccezion fatta per Lombardia e Veneto) dopo aver avuto il conforto popolare in importanti elezioni comunali provinciali o regionali, difficilmente è riuscito a confermare la vittoria nella tornata successiva, qualche domanda deve pur farsela.
La stessa cosa vale per il Governo nazionale.
Ora l’occasione è davvero straordinaria; non ci saranno più alibi per nessuno. Poter governare con numeri da “maggioranza bulgara” darà la possibilità di realizzare una vera rivoluzione; innanzitutto in campo economico.
Occorre davvero, questa volta, agire sul cuneo fiscale e sulla flat tax (che se vuole essere davvero incisiva va aumentato il tetto ben oltre i 65.000 euro) e poi, come promesso in passato, la riduzione delle accise sui carburanti, fermare la fuga di cervelli e metter mano ad una grande riforma del sistema scolastico e dell’istruzione più in generale perché, caro Salvini, i social a cui fai ricorso h24 soprattutto catturando simpatie nel mondo giovanile va pur bene, ma non dimenticare mai che il primo educatore dei giovani e giovanissimi – ancor prima della famiglia – è proprio la scuola.
Ma se si provasse a verificare il grado di efficienza ed imparzialità politica di gran parte del corpo docente, se ne scoprirebbero delle belle…


10.11.19

L’importanza delle comunità nel processo di sostegno del
Patrimonio Immateriale  dell’Umantà
Unesco, ci siamo quasi
Tante le candidature, l’Italia propone l’Alpinismo, la Perdonanza Celestiniana e la transumanza


di Anna Beatrice d’Assergi

Ci siamo quasi, a breve l’Unesco si pronuncerà sui beni patrimonio immateriale dell’umanità. Sono momenti intensi, le comunità attendono speranzose che le candidature supportate possano tagliare il traguardo ed essere riconosciute come un valore sancito a livello mondiale. 
Per fare un rapido riepilogo, nella sessione di novembre-dicembre 2019, il Comitato valuterà le candidature che elenchiamo di seguito, per le quali dedichiamo particolare attenzione a quelle presentate dall’Italia. Cominciamo dall’Armenia, che ha proposto la letteratura armena e sue espressioni culturali, mentre una lunga serie di Paesi tra cui Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Arabia Saudita hanno scelto di candidare la palma da datteri, conoscenze, abilità, tradizioni e pratiche. Ancora, la Bielorussia ha scelto di sostenere il rito di primavera  di Jurauski Karahod e il Belgio l’Ommegang di Bruxelles, una processione storica annuale e festival popolare. Quanto alla Bolivia, abbiamo il festival della Santissima Trinidad del Senor Jesus del Gran Poder nella città di La Paz, mentre il Botswana ha candidato la Seperu folk dance e pratiche associate. Il Brasile sostiene invece il Complesso culturale di Bumba-meu-boi di Maranhao e la Bulgaria il canto di Nedelino. Presenti anche Burkina Faso, Capo Verde, Colombia , Cipro con il canto bizantino, la Repubblica Dominicana, l’Etiopia, la Germania, l’India (con le scienze legate alla guarigione), l’Indonesia, l’Iran, l’Irlanda, il Kenya, il Kyrgystan, la Malesia, la Mongolia, il Montenegro, la Nigeria, Panama, il Perù, le Filippine, il Portogallo, Samoa, le Seychelles, la Svizzera, la Siria, la Turchia, l’Ucraina, la Bolivia, il Vietnam e altri.


Non tutti questi Paesi concorrono per la stessa Lista: diversi, infatti, hanno scelto la Lista di Salvaguardia Urgente o hanno fatto richiesta di assistenza. Per quanto ci riguarda, come si può facilmente comprendere scorrendo rapidamente la lista dei Paesi che aspirano a un riconoscimento, la partita non è semplice per l’Italia. Ma i beni sottoposti all’attenzione dell’Unesco dal nostro Paese sono davvero qualcosa di speciale. Vediamo di che si tratta. L’Italia è presente in tre candidature: insieme a Francia e Svizzera candida infatti l’alpinismo, da sola candida la Perdonanza Celestiniana, e insieme ad Austria e Grecia la Transumanza. Facciamo dunque il tifo per queste tre eccellenze italiane e, trovandoci nel Lazio, possiamo dire che facciamo il tifo specialmente per la Transumanza, perché ci riguarda direttamente e profondamente.
Prima di tutto: cos’è il “patrimonio immateriale dell’umanità”? Senza ripetere virgolettati e definizioni, diciamo brevemente che ci si riferisce a un insieme di tradizioni, capacità, abilità, specialità, prassi, conoscenze – che constano anche di una parte “materiale” - che appartengono alle comunità, qualcosa che viene trasmesso di generazione in generazione e che costituisce l’identità di un popolo. Un concetto, quello di “bene immateriale”, che apparteneva ben poco a noi occidentali fino a qualche tempo fa, o almeno ci apparteneva poco il senso di necessità di “istituzionalizzare” questo tipo di beni, di “codificarli”, in un certo senso. Noi occidentali, infatti, abbiamo nella nostra cultura ben chiaro da lungo tempo il concetto di “bene materiale”, essendo un popolo ricchissimo in termini di monumenti e di testimonianze materiali, sparse su tutto il territorio occidentale. In Oriente non è così: i materiali con cui gli Orientali creano gli edifici della loro quotidianità sono materiali deperibili. Da qui la spinta dell’Oriente verso una codificazione, una volontà di tutela di quello che oggi chiamiamo “patrimonio immateriale dell’umanità”, che oggi l’Unesco tutela. È, insomma, una grande conquista di questo tempo, un’immensa conquista, fondamentale. Senza tutto questo, quanti saperi, quante arti, quante tradizioni andrebbero perdute… e allora ci vuole il massimo impegno, per sostenere queste espressioni della storia dell’umanità, diversissime da luogo a luogo, preziosissime.


Veniamo alla nostra Transumanza, allora. L’Unesco – e questo vale per tutte le candidature – esige che le candidature dei beni proposti alla sua attenzione per l’inserimento nella Lista, siano condivise dalle popolazioni. È qualcosa di imprescindibile, la scelta deve venire “dal basso”. In fondo, sono i popoli i veri detentori di questo patrimonio, è solo grazie ai popoli che certe tradizioni sono giunte fino a noi. Vediamo allora come i popoli hanno sostenuto questa candidatura della Transumanza a Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Lasciando indietro le procedure, che poco ci interessano in questa sede, vediamo piuttosto come le comunità si sono occupate di sostenere la candidatura. Al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali giungono, nei primi mesi del 2018 (dunque quando il nostro Ministero competente predisponeva la pratica di candidatura), una serie di lettere a supporto. Scrivono in molti: l’Agenzia di Sviluppo Rurale Moligal di Campobasso, le Masserie Colantuono di Frosolone in provincia di Isernia, i Pastori Lombardi, l’Agrargemeinschaft Rofenberg e l’Alpinteressentschaft Niedetal di Bolzano, l’Associazione Regionale Produttori Ovicaprini d’Abruzzo, la Allevatori Società Cooperativa Anversana di Anversa degli Abruzzi, il Consorzio di Tutela dei Prodotti Pastorali nei Parchi d’Abruzzo, l’Università degli Studi del Molise, l’Associazione “I custodi del territorio”, l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia sezione Molise, l’Associazione Turistica Pro Loco di Amatrice, l’Associazione Culturale “Ars est vita” di Ceccano in provincia di Frosinone, la Kulturverein Schnals.
Com’è evidente, la spinta dal basso c’è, eccome. Abbiamo raccontato su questo blog la vicenda esemplare di Amatrice: un territorio distrutto dal sisma, che si attacca con le unghie a ciò che gli resta, le sue tradizioni, ciò che ha di più prezioso. Una terra legata moltissimo al suo patrimonio: quello materiale se l’è visto sbriciolare sotto gli occhi in una notte. Gli resta quello immateriale, preziosissimo, e per quello Amatrice si è mobilitata anche di recente con una bellissima manifestazione, dotandosi di un convegno scientifico e di una serie di attività incentrate proprio sulla Transumanza, per concludere una due giorni appassionante con la rievocazione vera e propria di questa antica pratica, con le persone che hanno accompagnato gli animali dallo stazzo fino alla città, dove poi si sono incamminate verso la pianura, questa volta a bordo di un camion. Potrà sembrare strano, eppure nell’epoca della globalizzazione, ad Amatrice ci sono ancora pastori transumanti, che in estate portano su quei monti i loro animali e d’inverno li riportano ai climi più caldi della campagna romana. Lo farebbero, se queste persone non fossero ancora oggi legatissime a questa tradizione? Probabilmente no. E allora, forza! Che la Transumanza diventi Patrimonio Immateriale dell’Umanità, che l’Unesco restituisca a questi popoli ciò che la natura a volte matrigna ha portato via alle loro vite. Una riflessione, questa, che vale anche per la Perdonanza Celestiniana: L’Aquila come Amatrice, nel bene e nel male queste due città sono sorelle per sempre. Speriamo lo siano anche nei festeggiamenti, quando l’Unesco si sarà pronunciato.

9.11.19

Borghi del Lazio
Palombara Sabina



Affacciata sul Parco dei Lucretili
e posta ai piedi del Monte Gennaro
Palombara Sabina è un Borgo fantastico
dove trovi olio e ciliegie di alta qualità.
E poi quel legame 
con il "Conte Tacchia"…

di Roberto Buonasorte


Così come Aronne Piperno l’ebanista è un personaggio divenuto famoso con il film “Il Marchese del Grillo” interpretato in modo magistrale da Alberto Sordi, allo stesso modo lo è Il Conte Tacchia per via dell’omonimo film diretto da Sergio Corbucci e recitato da Enrico Montesano.


Cosa c’entra questo – si chiederà il lettore – con “Borghi del Lazio” e con Palombara Sabina, che oggi andiamo a visitare?
C’entra, perché il Conte Tacchia, quello realmente esistito, al secolo Adriano Bennicelli nato in piena Belle Époque a Roma nel 1860, era il figlio di Filippo, un ricco commerciante di legname ed ebanista in Vaticano. Quando Papa Pio IX nominò Conte, Adriano Bennicelli (Padre del Conte Tacchia) oltre al titolo gli assegnò anche terreni ed immobili proprio a Palombara Sabina, ancora oggi gli eredi ne sono i proprietari; ed è sempre a Palombara che la famiglia Bennicelli ha la sua cappella privata nel cimitero della città.
Affacciata sul Parco dei Lucretili e posta ai Piedi del Monte Gennaro, Palombara è un borgo fantastico circondato da piante di olivo e di ciliegio (i cui frutti qui chiamano “cerase”) che danno prodotti eccezionali e per questo famosi in tutta Italia.
 

Le sue origini sono molto antiche anche se notizie certe si hanno solo dal periodo riferito al Medioevo.
Posta a quasi 400 metri di altitudine, con i suoi 13.000 abitanti e collocata tra i fiumi Tevere ed Aniene, rappresenta quella giusta via di mezzo tra città e paese, con servizi che garantiscono diritto allo studio e alla salute, e tante belle tradizioni ben demandate di Padre in figlio; insomma una qualità della vita – quella di cui si può godere a Palombara – davvero invidiabile, considerata anche la relativa vicinanza con Roma che dista poco più di 40 KM.
Le viuzze ben curate dell’antico borgo si promanano dal Castello Savelli – Torlonia dominato dalla torre di guardia antecedente al IX secolo; oggi il Castello, da cui si può godere di una vista mozzafiato, dopo il recente restauro, è sede della biblioteca comunale e del Museo Naturalistico.

Oltre alle famose cerase come già detto, tra i piatti tipici che si possono gustare ci sono la “pizza a soleca” che è una pizza pasquale da mangiare con i salumi e il “panemmollu con i fagioli”.
San Biagio è il Patrono della città che si festeggia il 3 di febbraio, mentre le manifestazioni più importanti sono quelle della “Rassegna Nazionale dell’olio extravergine della Sabina che si tiene nel mese di marzo; la “Sagra delle cerase” tra giugno e luglio e il “giorno di Bacco” a novembre.

La città è dotata di una zona sosta camper, è inserita nel "Cammino di Francesco" e nel vicino Monte Gennaro – per gli appassionati della disciplina – si può praticare anche il Trekking.
Abbiamo raccolto, in questo odierno racconto dove andiamo a scoprire di volta in volta un borgo del Lazio, solo una piccola parte delle bellezze – soprattutto naturalistiche – che avvolgono Palombara Sabina; visitandola di persona, d’estate si può godere di una bella frescura, e d’inverno presagire, già a distanza, quei profumi antichi che provengono dai camini accesi.
Tutto ciò si può toccare, guardare, assaporare di Palombara ma solo, appunto, visitandola di persona.


6.11.19


DECRETO TERREMOTO,

APPELLO A  ZINGARETTI




Ieri l’audizione di Pirozzi in Commissione Ambiente della Camera (il video è disponibile sulla sua pagina Facebook) 
L’ex Sindaco di Amatrice ha illustrato il pacchetto di proposte da inserire nel Decreto che è in fase di conversione e che sono state già condivise, all’unanimità, dal Consiglio regionale del Lazio
Ora, dopo una sostanziale apertura di Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia, Cambiamo! e in parte del PD, sta a Zingaretti orientare i suoi parlamentari e cogliere questa grande occasione  per far rinascere la speranza ed accelerare la ricostruzione


di Roberto Buonasorte


E’ inutile girarci intorno, ora manca solo l'ultimo tassello e dovrà essere Nicola Zingaretti a saper cogliere questa grande occasione.
Il Governatore del Lazio, e Segretario nazionale del PD, dovrà essere orgoglioso del fatto che l’aula della Pisana (la “sua” aula) la scorsa settimana ha approvato, all’unanimità, e sottolineiamo all’u – na – ni – mi – tà, una mozione a firma Pirozzi con allegato documento composto da tredici punti molto precisi (sottoscritto anche da Fratelli d’Italia) con cui si è chiesto a Zingaretti di farsi interprete verso Governo e Parlamento affinché quei punti possano entrare a pieno titolo nel Decreto Legge, oggi in fase di conversione.
Modifiche utili, anzi indispensabili se davvero si vuole velocizzare la ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto in centro Italia; in primis occorre suddividere il cratere tra i Comuni che hanno avuto la distruzione e che, esattamente come avvenuto per il Ponte Morandi di Genova, dovranno avere un Commissario che agisca con poteri in deroga, mentre nei rimanenti Comuni (quelli che hanno avuto danni lievi) si continuerà ad agire con norme ordinarie.
I primi ad essere contenti e che dovrebbero appoggiare questa linea, dovrebbero essere i grillini, che avendo indicato Farabollini quale Commissario per la ricostruzione, se gli si dessero poteri in deroga potrebbe accelerare la ricostruzione e prendersi i meriti di una inversione di tendenza.
Ricordiamo al cortese lettore che l’intero cratere del centro Italia attualmente è composto da ben 138 Comuni, ma quelli che hanno avuto la distruzione sono meno di 20: non solo Amatrice ed Accumoli, ma anche Arquata, Camerino, Campotosto, CastelluccioCastelsantangelo sul Nera, Norcia, Pieve TorinaUssita, Visso … ed è facilmente comprensibile che senza la suddivisione del cratere e senza agire in modo differenziato, i Comuni che hanno avuto la distruzione (se si continuerà con le lungaggini burocratiche e con leggi ordinarie) non verranno mai più ricostruiti,  con il conseguente e definitivo abbandono di quelle terre da parte di persone coraggiose e straordinarie. Ma hai voglia ad essere definito straordinario e coraggioso, a ricevere una pacca sulla spalla o a vedere tante telecamere nei giorni dei funesti anniversari… Se dopo tre anni siamo fermi al 4% di ricostruzione privata e appena l'1% di quella pubblica e con intere frazioni dove ancora si possono scorgere montagne di macerie, di cosa parliamo? Dobbiamo ancora fare lunghissimi cicli di inutili incontri? Campagne d’ascolto che servono solo a deprimersi ancor più? Cos’è, una trattativa sindacale? Una concertazione? Per favore, la gente è stufa di psicologi e convegni, occorrono invece ruspe e gru, cemento, e tante bandiere tricolore che vogliamo vedere al più presto sventolare sui tetti, che stanno a significare – come da tradizione - l’avvenuta copertura di tante nuove case ricostruite.
Per tutto questo abbiamo scritto nel titolo “Appello a Zingaretti”: si renda parte attiva, il Governatore della Regione più grande, quella che ha avuto il maggior numero di morti, prenda carta e penna e scriva ai suoi parlamentari e – in ossequio a quanto votato alla Pisana – inviti i suoi a trasformare quei tredici punti in altrettanti emendamenti al Decreto, e votino a favore anche le altre forze politiche, così come hanno fatto in Regione Lazio i Consiglieri di tutti i partiti.
Verreste abbracciati con sincerità dalle popolazioni colpite in modo grave, perché si tratterebbe di un gesto concreto e non della solita pacca sulla spalla. Alla prossima occasione pubblica verreste accolti con entusiasmo, perché questo - che da quelle parti è già arrivato - è il quarto inverno consecutivo e, nonostante il coraggio, le pacche sulle spalle, quelle persone sono stremate, e non ne possono più.