31.5.20


SCHMIDT: I MUSEI
RESTITUISCANO LE OPERE ALLE CHIESE



La presa di posizione del direttore degli Uffizi fa discutere, 
ma ha ragione lui...

di Anna Beatrice d'Assergi

"I musei statali compiano un atto di coraggio e restituiscano idipinti alle chiese per i quali furono originariamente creati". È il succo della dichiarazione del direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt, parole pronunciate in occasione della riapertura di Palazzo Pitti a Firenze. 
La dichiarazione di Schmidt ha suscitato una serie di reazioni: Vittorio Sgarbi ha sposato in pieno la battaglia e se ne è fatto subito portavoce convinto, dall'altra parte della barricata Tomaso Montanari, il quale sostiene che Schmidt avrebbe un conflitto di interessi perché, oltre ad essere alla guida degli Uffizi, è anche presidente del Fec, il Fondo Edifici di Culto, che detiene moltissime chiese italiane. 
Al di là degli incarichi di Schmidt, che è faccenda che ci interessa ben poco, di maggiore interesse è piuttosto la sua presa di posizione che finalmente pone sotto i riflettori una questione che merita una certa attenzione. 
Diversi sono gli aspetti, infatti, che emergono se si parla di opere d'arte e di musei: prima di tutto, c'è la questione della proprietà. Molte opere sono esposte nei musei, ma i musei non ne sono i proprietari: molte volte questi tesori appartengono alle chiese, tecnicamente alle Diocesi di appartenenza, antropologicamente e eticamente direi che appartengono alle rispettive comunità, a dirla tutta. In ogni caso ai territori, quelli in cui sono state realizzate, quelli per i quali esse hanno un valore che non è solo artistico ma anche affettivo, sono rappresentative della memoria dei luoghi e come tali vanno rispettate e considerate. 
Certo, c'è poi il tema della sicurezza: spesso i musei vengono pensati e realizzati anche per mettere le opere al sicuro da possibili furti, manomissioni, danneggiamenti. E qui, però, emerge una questione che attiene alla responsabilità dello Stato, per il tramite del Ministero delegato all'uopo: siano messi a disposizione dei luoghi (delle chiese, dei comuni, degli enti) strumenti e fondi per far fronte a questo grosso problema. Si dirà: lo Stato lo fa di già, proprio con i Musei. Sì, ma non basta. È un salto in avanti che l'Italia deve compiere, prima o poi. Lo faccia ora, con il Covid 19 ancora non sconfitto: può essere l'occasione per metterci le mani una volta per tutte.
I musei sono infatti una bella e importante risorsa per ogni Paese, ma chi di noi non ha avuto la sensazione, entrando in un museo, di osservare oggetti totalmente decontestualizzati? Io si, ogni volta, e sinceramente mi ha fatto sempre un po' rabbia. Avere un patrimonio artistico di queste proporzioni e proporlo in maniera decisamente sterile ai milioni di visitatori che ogni anno raggiungono il Belpaese, mi è sempre sembrato e mi sembra ancora uno spreco. 
Altro tema è quello del tanto decantato "museo diffuso": se ne parla da tempo ormai, credo sia tempo di passare dalle parole ai fatti. Proporre ai turisti itinerari culturali, invece che incastrarli ammassati in un museo, per quanto luogo affascinante per molti aspetti, è probabilmente la sfida di questo momento storico e sociale. Si spostino le persone, le opere rimangano dove devono stare, nel loro posto: dovrebbe essere questo il concetto base delle scelte future. Significherebbe rivoluzionare quello che è uno stato di fatto ormai da lungo tempo, ma ne vale sicuramente la pena. E l'Italia potrebbe dare l'esempio: dopo i mesi di chiusura totale, potrebbe essere un'occasione per far parlare ancora di noi. 
Ma cosa ci facciamo, poi, dei musei? Altra questione non indifferente: imponenti strutture, organizzate per accogliere le opere e per metterle in mostra, diventerebbero solo dei vuoti contenitori... ebbene, oggi la tecnologia fa miracoli, varrebbe la pena sfruttarli. Ricostruzioni di siti in 3D, ambientazioni di diverse epoche e culture, storytelling ma anche storydoing, perché no? Ecco, le strutture museali potrebbero diventare centri di diffusione di un universo nuovo e straordinario, in cui i visitatori non siano solo "osservatori", ma parte attiva di un viaggio affascinante nel tempo e nello spazio, con una valenza didattica ad ampio raggio che potrebbe costituire la svolta più interessante di questo terzo millennio che stenta un po' a caratterizzarsi come un'epoca nuova.
Ci vogliono i soldi. Sì, certo. Vogliamo investire in questo settore un bel po' di denaro, finalmente, o no? 
Le opere, tornando nelle chiese (ma anche nei comuni) di provenienza, consentirebbero ai luoghi di tornare a vivere, ad accogliere turisti e studiosi, l'Italia potrebbe diventare un grande, immenso museo diffuso: si arricchirebbe di spunti, di attenzione, tornerebbe la voglia di percorrerla in lungo e in largo, in sicurezza e senza assembramenti, che erano decisamente odiosi anche prima che il Coronavirus ci impedisse di metterli in atto. 
Il mondo è cambiato. Dopo questa esperienza fatta di quarantene e limitazioni della libertà di movimento, dobbiamo cambiare radicalmente non solo il nostro modo di vivere, ma anche il nostro modo di pensare e di vedere le cose. Dobbiamo tornare a vivere una vita più normale, più lenta, meno frenetica. Spostiamoci lungo lo Stivale, visitiamo i borghi: sapendo che in ciascun luogo possiamo trovare anche una o più opere d'arte, ci verrà voglia di visitare l'intera penisola: non dovremmo più fare file chilometriche, soffocare di caldo in mezzo alla ressa, attendere a lungo per vedere da vicino un quadro o un Crocefisso. 
Una scelta come quella suggerita da Schimdt significherebbe un cambio di passo in tutto. L'occasione oggi c'è. Saremmo dei folli a non percorrerla.

30.5.20


Tu vuo' fa' ll'americano



Continua la battaglia legale

tra il Ministero dei beni culturali
e l’attuale conduzione della Certosa di Trisulti, in ciociaria,
per stabilire la legittimità della gestione.
L’intervento del professore Biagio Cacciola,


 di Biagio Cacciola*


Ieri mattina, nel dibattito in una tv privata del basso Lazio abbiamo discusso sulla Certosa di Trisulti e il suo destino, con l'attuale gestore Benjamin Harnwell dell'associazione 'sovranista' hdi e la giornalista Paola Rolletta. Un confronto per molti versi rivelatore. Infatti  c'è stata (al di là della sentenza interlocutoria del tar che ha respinto il ricorso del ministero, appellandosi a fatti formali) la rivelazione della non cattolicità dell'associazione. Infatti alla mia domanda sul perché da tempo nella Certosa di Trisulti non vi fossero più messe, né cerimonie   , ma soltanto entrate a pagamento, il responsabile hdi ha risposto candidamente 'all'inglese', dicendo che non era tenuto a fare svolgere funzioni religiose perché Trisulti non è parrocchia (sic). E alla contestazione da parte del sottoscritto che tutta la storia religiosa della certosa è storia legata al mondo cattolico, alla sua tradizione quasi millenaria di diffusione e celebrazione del cristianesimo a partire da Papa Innocenzo terzo, ha risposto dicendo che l'associazione non è cattolica. E che anche se lo avesse potuto non ci sarebbero stati i preti per mancanza di 'vocazioni '. Come se la Certosa non fosse stata fino a due anni fa luogo dove si celebrava almeno la messa domenicale. In più il responsabile hdi si è lasciato scappare che il 'vostro papa' impedisce l'afflusso di preti da altre parti del mondo. Scusa risibile per continuare a difendere solo lo sfruttamento commerciale del bene Certosa. Per poi finire in bellezza il peana a Salvini che avrebbe salvato l'Italia dai migranti con toni tipici più di un responsabile di sezione leghista che di un occupante (contestato) di un bene religioso. Vedremo cosa succederà dopo il ricorso annunciato del Ministero al Consiglio di Stato, dell'inchiesta della Procura che, come ha rivelato lo stesso Harnwell, ha preso provvedimenti nei confronti di hdi e, in ultimo, dell'ingiunzione della Corte dei Conti. Sta di fatto che una tradizione di quasi mille anni di storia e liturgia cattolica è stata interrotta da questa  presenza 'sovranista', all'americana.

* Filosofo e scrittore

28.5.20


Il fu Matteo Premier sempre più sull’orlo del precipizio
ITALIA VIVEVA…


di Roberto Buonasorte

Gli ronzano ancora intorno, a Matteo Renzi, perché sperano di ruspare qualcosa; un incarico, una poltrona, una raccomandazione (magari in Rai…) ma finiti posti e poltrone – dopo essere stato abbandonato dal popolo e dagli elettori, come stanno a dimostrare tutti i sondaggi – il fu Matteo Premier rimarrà davvero solo.
Lo rinnegheranno persino la Boschi Bonifazi e Giachetti: si accettano scommesse.
Lo spregiudicato ragazzo che cresciuto a Rignano sull’Arno in pochi anni ha conquistato Palazzo Chigi, all’inizio qualche speranza l’aveva effettivamente suscitata ma poi, come accade a tutti i “bulli” (o come si dice a Roma “coatti”) dotati di una arroganza fuori dal comune, prima o poi il “botto” lo fai.
Evidentemente le scissioni, e ne abbiamo vedute molte negli ultimi anni, non portano quasi mai fortuna; dunque anche Italia viva dopo una prima fase nella quale poteva destare qualche interesse, o se si vuole qualche curiosità, una volta esaurite ha cominciato a perdere consensi ogni giorno, tanto che le ultime rilevazioni la danno addirittura dietro ad un altro mini partitino che si chiama “Azione” guidato da due non esattamente “mostri” della politica che sono Calenda e Richetti.
Sarà dunque proprio Renzi, nonostante le fibrillazioni quotidiane, a tenere in vita l’odiato Conte, perché se cade Conte anche lui va a casa, e se comunque un lavoro e una professione il primo ce l’ha, il nostro cosa si metterà a fare? E con lui gran parte di quelli che ad ogni livello lo hanno seguito.
La partita vera, a modesto parere di chi scrive, si disputerà dunque sulle regole del gioco, ovvero sulla nuova legge elettorale di cui – nonostante l’emergenza sanitaria in corso – nelle segrete stanze si sta discutendo proprio in queste settimane.
L’impianto – racconta chi è bene informato – sarà di tipo proporzionale, e fin qui ci può stare: ognuno parlerà alla sua tifoseria e porterà a casa i seggi proporzionalmente ai voti raccolti.
Chi griderà alla truffa e chiederà alleanze chiare prima del voto in modo che si sappia quale coalizione governerà non sarà credibile: ricordiamoci sempre che la Lega nel 2018 ha eletto una parte dei suoi parlamentari anche grazie ai voti di Fratelli d’Italia e Forza Italia ma poi è andata al governo con i grillini spartendo le poltrone con Di Maio Fraccaro e Bonafede…  
Pertanto la vera sfida sarà quella della soglia di sbarramento da applicare per poter accedere alla ripartizione dei seggi parlamentari.
Se dunque vi sarà un proporzionale con soglia di sbarramento bassa (o addirittura senza soglia di sbarramento, magari per chi si allea) il “bullo” fiorentino potrebbe salvarsi, ma se decidono di farlo fuori imponendo una soglia alta per lui sarebbe la fine e finirebbe anche la sua creatura, Italia viva, alla quale sarebbe obbligato a cambiar nome in Italia viveva…   





26.5.20


Ci fu un'altra Istria al confine occidentale
La francesizzazione delle lapidi 

di Aldo Rovito *           

L'Associazione Culturale “Identità Italiana – Italiani all’Estero”, ha sollecitato un intervento del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti (Onorcaduti; organo del Ministero della Difesa) affinché sia salvaguardata la memoria storica nonché la dignità e l’identità personale del Colonnello Giovanni Pastorelli, Medaglia d’Oro al Valor Militare, caduto nella battaglia di Ain Zara (Tripoli) il 6 Dicembre 1911, durante la Guerra Italo-Libica.
Chi era il Colonnello Pastorelli?             
Era nato a Nizza Marittima il 29 Marzo 1857 da famiglia originaria di Briga Marittima, poco prima che gran parte della Contea di Nizza (ad eccezione di Briga e Tenda) venisse ceduta alla Francia in forza dei famosi accordi di Plombieres che dovevano portare alla II^ Guerra d’Indipendenza. Allievo della Scuola Militare di Modena, fu nominato sottotenente di Fanteria nel 1879. Col grado di Tenente Colonnello partecipò nel 1908, con il 76^ Reggimento, all’opera di soccorso alle popolazioni calabro-sicule colpite dal terremoto. Lo scoppio della guerra italo-libica lo trova al comando del 40^ Reggimento Fanteria, con il quale sbarca a Tripoli il 12 Ottobre 1911, venendo dislocato nelle trincee sul fronte meridionale a difesa della città, impegnato in duri combattimenti difensivi per tutti i due mesi di ottobre e novembre. All’alba del 4 Dicembre, il Reggimento del Colonnello Pastorelli, fu inviato ad occupare il campo trincerato turco attorno all’oasi di Ain Zara. La battaglia si risolse favorevolmente per le truppe italiane che costrinsero l’avversario a ritirarsi.  Purtroppo tra le truppe italiane si dovettero registrare 17 morti e 171 feriti. Tra i morti, il Colonnello Giovanni Pastorelli, al quale fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione: Diede prova ammirevole di valore, trascinando co l’esempio, stando in prima linea con l’avanguardia per meglio dirigerla, i reparti del suo reggimento sottoposto ad intenso fuoco nemico, e, sebbene ferito a morte, trovò nella sua energia e nell’alto concetto che egli aveva della sua missione, la tranquillità d’animo e la forza, nel cedere il comando al tenente colonnello, di raccomandare a tutti l’onore del reggimento e della sua bandiera, che egli aveva sempre tenuto alto”. –  Ain Zara (Libia), 4 Dicembre 1911.

La salma del Colonnello Pastorelli sepolta nel cimitero di Ain Zara, fu spostata nel 1955 nel Sacrario Militare Italiano presso il Cimitero Cristiano di Tripoli e dal 1967 riposa nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari.

In onore del Colonnello Pastorelli nel 1923 fu inaugurato un monumento a Lui dedicato nella Piazza San Martino di Briga Marittima (Comune di origine della Famiglia Pastorelli), opera dello scultore torinese Davide Calandra.

Nel 1947 in seguito al Trattato di pace di Parigi del 10 Febbraio, furono ceduti alla Francia il Comune di Tenda e parte dei Comuni di Briga Marittima, Valdieri, e Olivetta San Michele.

Negli anni immediatamente successivi all’annessione, la Francia operò una specie di pulizia etnica incruenta, vietando l’uso in pubblico della lingua italiana (altro che le disposizioni sul bilinguismo in Val d’Aosta, in Alto Adige e nella Venezia Giulia!), eliminando lapidi, tombali e non , in italiano, mutando la toponomastica italiana fin quasi al più sperduto casolare. A quest’opera di genocidio culturale, non fu sottratto Il Monumento al Colonnello Pastorelli che non solo fu spostato dalla primitiva posizione nella piazza principale di Briga alla periferia del paese lungo il Levenza, ma dovette anche subire la francesizzazione del nome, tramutato in “Jean” Pastorelli, caduto su un non meglio identificato “champ d’honneur”.

            Con la lettera inviata nei giorni scorsi, l’Associazione "Identità Italiana - Italiani all'estero" chiede che il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti, promuova un intervento della nostra diplomazia presso le competenti Autorità Francesi affinché venga rispettata la memoria storica del Colonnello Giovanni  Pastorelli e del suo sacrificio mediante il ripristino della originaria iscrizione sul monumento a Lui dedicato, augurandosi che per il prossimo 6 Dicembre 2021 si possa assistere ad una degna celebrazione del 110^ anniversario dei fatti di Ain Zara.

* Presidente Associazione "Identità Italiana - Italiani all'estero"

20.5.20


SBUROCRATIZZARE? È SEMPLICE
BASTA ALZARE LA SOGLIA DEL RISCHIO

 

di Marco Di Andrea*

Il megalodonte “burocrazia”, che dal 1861 affligge l’Italia, impedendo un progressivo developpement del Paese all’altezza della qualità di molti illustri italiani, che si sono distinti in tutti i campi dello scibile umano, impregnando di italianità il mondo, può essere senz’altro spiaggiato. Basta volerlo. La burocrazia quale eccessivo potere della pubblica amministrazione, con l'improduttiva pedanteria delle prassi, delle forme, delle gerarchie, anche a proposito di amministrazioni ed organizzazioni private, che ne ricalcano gli aspetti e, soprattutto, i difetti, concepita all’inizio dell’era napoleonica per un controllo accentrato con l’ausilio dei Prefetti, per nulla pachidermico, anzi snello e funzionale, dopo il 1815, abbandonato il modello napoleonico, ha iniziato ad ingigantirsi e ad autoalimentarsi, sfuggendo al contenimento dei governi che si sono succeduti, specialmente a partire dal 1970 con il varo delle Regioni; con buona pace delle prospettive di sviluppo, che avevano pizzicato milioni di italiani con l’Italian Dream degli anni ’60.

A seguire, migliaia di leggi, decreti legislativi, decreti legge, decreti ministeriali, atti aventi forza di legge, testi unici, riforme della precedente riforma, autority, commissari, autorità di vigilanza, codice degli appalti, Anac e task force hanno impedito e certamente impediranno qualsiasi prospettiva di sviluppo e dunque, del rientro del debito pubblico monster a cagione del quale tutti gli italiani, financo i nascituri, sono stati messi in mora dall’Europa, ma direi anche dalle altre nazioni verso le quali non possiamo dichiararci così indipendenti e sovrani (Stati Uniti in primis, ma anche Cina e Russia).

L’unica misura da prendere, rifuggendo dalla brama di voler e poter controllare tutto con la norma scritta, più che “ResistereResistereResistere” è quella di “LiberalizzareLiberalizzareLiberalizzare”, aumentando però la soglia del rischio. Chi si prefigge il proposito di delinquere in tutti i campi, dai delitti contro la Pubblica Amministrazione, contro l’Economia, l’Industria e il Commercio, contro la Famiglia, la Persona o il Patrimonio, usa sempre la bilancia rubata alla Dea Giustizia e, se il rischio vale la candela, sicuramente delinquerà. Ergo, fra le decine di task force generate dall’attuale Governo per tentare ancora una volta di risolvere con la burocrazia un evento negativo come il fenomeno pandemico, se ne incarichi una di far sì che il piatto del rischio di quella bilancia, rispetto al piatto del profitto che il reo immagini di conseguire, sia sempre più in basso perché di gran lunga più pesante dell’evento criminoso che si è prefisso di consumare.

In quest’ottica, che carica i cittadini di maggiore responsabilità e che scarica tutta la macchina dei controlli, fatta di migliaia di ingranaggi, che a volte si inceppano e, quando va bene, la rendono goffa e claudicante, l’Italia ripartirebbe; il politico si accontenterebbe dell’onore della carica che riveste, del gettone di presenza e dell’indennità di legge, così come il dirigente malfattore non opporrebbe speciosi e maliziosi ostacoli all’iter della pratica; il vizioso non userebbe violenza nei confronti dei minori, così come il marito non maltratterebbe la moglie; il traente onorerebbe i suoi assegni e alcune banche non praticherebbero interessi usurai e anatocismo. Il ladro, come il rapinatore, si guarderebbero bene dal violare il domicilio privato. Gli esempi sono tanti.

Consapevole di semplificare, ritengo che questo si raggiunga soltanto lavorando sulla capacità di deterrenza della pena, aumentando, almeno per i reati più gravi e ricorrenti, il minimo e il massimo delle pene attualmente previste, almeno fintanto che il risalito indice di self-control di tutti gli italiani non abbia portato il Paese fuori dalle sacche, che attualmente lo immobilizzano. Ci sono voluti oltre due mesi per far comprendere a tutti gli italiani la necessità di usare guanti e mascherine e di igienizzare frequentemente le mani, ma ora gli italiani lo hanno compreso e tutti si servono di questi presidi (ove reperibili). Certo, ci sarà sempre qualcuno che delinque, come si noterà in giro sempre qualcuno senza guanti e mascherina; ma non bisogna mai buttare il bambino con l’acqua sporca! In altre parole, non bisogna rifuggire dal dare fiducia agli italiani solo perché c’è qualcuno che ancora delinque o non usa la mascherina. Naturalmente il piatto forte va condito con la certezza della pena, con l’equa pressione fiscale e con un Welfare sostenibile, che non deve mai venir meno. Qualcuno dirà che invece è necessario puntare tutto sulla scuola, io dico pure sulla scuola, ma per formare le nuove generazioni ci vogliono anni, mentre per convincere all’uso della mascherina ci son voluti solo due mesi, anche grazie al potere deterrente delle salatissime sanzioni pecuniarie.

Sarò pure ingenuo ma ritengo che quanto sopra, ove praticabile, darebbe più certezze: certezza della pena, certezza nelle transazioni commerciali, nazionali e internazionali, maggiore affidamento del cittadino nella pubblica amministrazione, maggiore interesse degli investitori esteri e maggiore fiducia nelle istituzioni. Il PIL finalmente risalirebbe e il debito pubblico mano mano rientrerebbe. Con la conseguenza che tutti sarebbero più liberi, soprattutto i cittadini onesti che non sarebbero più costretti a guardarsi ogni giorno le spalle.

*Avvocato in Roma





14.5.20


LE OPERE UMANITARIE
NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
E LA SICUREZZA

di Robert Triozzi *

Come reduce di innumerevoli missioni con l’ONU e/o la mia ONG nei paesi in via di sviluppo nonché dei paesi in guerra dal 1993, compresi ben 22 paesi musulmani tra  l’Africa, il Medioriente, l’Asia e i Balcani, posso dire che più di qualsiasi altro rischio ciò che temevo era ed è di essere rapito. I due luoghi dove avevo più paura erano il Pachistan, nella zona controllata dai Talebani sui confini con l’Afganistan, e la zona sui confini tra l’Uganda e il Congo.
E’ una realtà molto attuale e succede spesso in tanti paesi, anche quelli esotici che sono delle mete turistiche. Capita più spesso spostandosi per strada ma anche presso dei domicili isolati privi di misure di prevenzione e protezione.
Bisogna capire in primis se c’è l’esigenza per delle opere umanitarie in un paese che è una zona a rischio a prescindere. Questo vale anche per delle mete “tranquille” di villeggiaturacome il Kenia, il Sudafrica, il Malawi, l’Egitto, le Filippine ecc.
Basta consultare il sito dell’Unità di Crisi del Ministero degli Affari esteri per avere un’idea dei rischi in tutti i paesi del mondo. Rischi di tipologia criminale, delle lotte armate e anche rischi sanitari. Infatti, una prassi che ogni italiano dovrebbe fare quando viaggia fuori dell’Europa è di iscriversi per essere registrato con la Farnesina in caso di problemi nel paese visitato.


La zona in Kenia dove operava la Romano è uno di questi luoghi. E’ considerato un paese “tranquillo”, ma fino a certo punto. E’ un’area soggetta a movimenti criminali nonché terroristici. In Kenia, come in TUTTA l’Africa, tranne forse la Namibia e Lesotho, c’è sempre un rischio per gli stranieri e soprattutto LE straniere. Questo vale il doppio quando ci si trova da soli in un ambiente lontano dalle mete turistiche.
Detto questo, al nobile desiderio di “aiutare l’umanità” e forse anche di “salvare il mondo” bisogna capire che si parte prima con la testa e puoi con il cuore.
Troppo spesso questi idealisti, ingenui e spesso ignoranti in merito alla situazione geopolitica, sono troppo vogliosi anche di abbracciare altre "culture" oltre ad aiutare la gente del posto.
Pensano che i consigli in merito alla sicurezza siano invadenti, restrittivi, esagerati o non necessari in quanto si considerano “cittadini del mondo e vogliono bene a tutti” e quindi indenni o immuni dai rischi alla loro incolumità!
Quindi partono con la prima organizzazione che passa senza fare dei compiti prima, sia sull’organizzazione alla quale si aggregano che sulla situazione politica e sanitaria del paese dove andranno a lavorare.
Una mia amica sui cinquant’anni aveva questa voglia di fare “la sua parte” per aiutare chi è meno fortunato. Mi ha fatto piacere sapere che voleva provare questa esperienza. Immaginavo che ci sarebbe andata in condizioni simili alle mie quando parto per una missione, ovvero partire preparato.
La sua meta era il Sudafrica. Un paese che conosco molto bene. E’ un paese dei safari e del turismo vinicolo, belle spiagge e grandi città moderne con grattacieli, centri commerciali e anche dei ghetti/favelas tra i peggiori e tra i più pericolosi al mondo. Il tasso di criminalità ha dei primati unici nel mondo. Si rischia di essere rapito e/o anche ucciso anche fermo ad un semaforo per essere derubato.
Lei non ha fatto i suoi compiti lasciandosi nelle “buone mani” di un’ONG. Ovviamente avrebbe avuto tutte le sue spese coperte e avrebbe ricevuto un piccolissimo stipendio. Ma non le interessavano i soldi. Voleva aiutare i poveri.

E’ partita subito per Johannesburg, pochi giorni dopo aver firmato tutti i documenti. Una volta arrivata è passata nella sede dell’organizzazione e poi nel suo alloggio. Era un venerdì. Il suo alloggio era in una casa appena fuori Alexandria, il più pericoloso di tutti i municipi segregati, chiamati “townships”. Il più famoso è Soweto.
L’appartamento era a piano terra e senza delle inferriate sulle finestre né una porta blindata. Non stava vicino ad altri appartenenti dell’ONG e non aveva un telefono che funzionava in Sudafrica. Effettivamente ha già ignorato tutte le prime regole di sicurezza riguardo la scelta di un alloggio.
La sua prima sera sono entrati dei giovani criminali. L’hanno malmenata e derubata di tutti i suoi beni compreso il suo passaporto. L’hanno legata ad una sedia e lì è rimasta fino a lunedì mattina quando ci si è chiesti perché non si fosse presentata a lavoro.
Subito è rientrata in patria e mi ha raccontato l’episodio e sono rimasto allibito per più motivi.
In primis non potevo credere che un’ONG che opera in una zona rischiosa non avrebbe preparato e formato in una maniera idonea il suo personale prima di partire. Ancora più incredulo ero per il fatto che una volta arrivata non c’era nessuna spiegazione in merito alle misure di sicurezza da prendere né la situazione di possibili rischi di alcun genere.
Dove voglio arrivare con questo aneddoto? In seguito ho scoperto che quasi tutte le ONG operano in questo modo, mettendo a rischio questi buoni samaritani altruisti.
Non vengono mai prese in considerazione né le misure di sicurezza né la situazione geopolitica delle zone in cui operano. Raramente, infatti quasi mai, un’ONG impiega un responsabile della sicurezza con esperienza nel terzo mondo o paesi in via di sviluppo post bellico che può guidare l’ONG e i suoi operatori per operare in sicurezza.
Il personale non è mai formato in un contesto idoneo quanto a sicurezza e misure di
prevenzione da seguire.
Raramente l’organizzazione o i suoi componenti si registrano presso le proprie sedi
diplomatiche.
A volte alcune ONG operano anche senza il consenso della nazione ospitante in cui si trovano, tutto allo sbaraglio.
Io, ingenuamente, prima di sentire del tormento subìto dalla mia mica, pensavo che prima di partire per una missione gli operatori umanitari fossero soggetti al corso di addestramento arduo ed impegnativo di due settimane massicce al quale sono sottoposto io stesso e che io esigo per i componenti della mia ONG, il Programma di Sviluppo per Vigili del Fuoco (FRDP).
Si comincia con le misure di sicurezza personale, come camminare per strada, attirando meno attenzione possibile - che spesso è impossibile se uno è l’unico bianco nel villaggio. Quindi a maggior ragione di stare sempre in allerta e di non abbassare mai la guardia. Poi di essere consapevole delle misure di sicurezza residenziali, che valgono per una tenda quanto per un appartamento, una villa o un albergo. Come riconoscere delle mine e degli ordigni e cosa fare trovandosi nelle loro vicinanze. Nozioni di pronto soccorso e dell’antincendio senza risorse idonee a disposizione. Come guidare un fuoristrada e fare opere di riparazione rudimentali.
Poi c’è una parte che riguarda il comportamento ai posti di blocco. Bisogna ricordare che i posti di blocco in questi paesi non sono sempre delle autorità legali ma anche dei terroristi o di terroristi travestiti da poliziotti o militari. Questo spesso è il punto di un rapimento.

Qui l’addestramento si focalizza su come prendere delle misure per dissuadere un eventuale rapimento e se rapito cosa fare e non fare. E’ una parte del corso che non è per tutti e potrebbe determinare se una persona può infatti partire per una missione in certi luoghi.
In un ambiente tranquillo e rilassante c’è “un’intrusione armata” e vengono presi in ostaggio tutti i presenti in uno scenario molto realistico. Gli allievi del corso sono bendati o incappucciati, legati, privati di tutti i loro beni – orologi, soldi, documenti e scarpe. Vengono trattati non certamente con i guanti bianchi e forzati a camminare senza sapere se si è da soli o ancora vicino ai compagni. E’ molto inquietante.
Quindi, alla fine del corso, uno ha già una mezza idea di cosa potrebbe succedere mentre sta salvando il mondo. Queste prassi, purtroppo, sono effettuate solo dalle organizzazioni dell’ONU, dell’UE, pochissime ONG e per i componenti delle organizzazioni di sviluppo appartenenti ad un Ministero degli Esteri, in Italia è la Cooperazione italiana – quindi un cooperante NON è un volontario che parte con un’ONG ma un dipendente ministeriale.
E non finisce con la formazione pre-partenza. In loco, quotidianamente, sono studiati i bollettini della sicurezza per determinare cosa si può fare o non fare quel giorno. Ogni movimento deve essere comunicato al responsabile della sicurezza ed autorizzato o negato e i movimenti sono sempre tracciati.
Tutte queste misure suindicate non sono prese dalla maggioranza delle ONG. Non è un gioco e purtroppo la stragrande maggioranza di queste persone partono senza un’idea alcuna di cosa comporta una missione del genere.
C’è da revisionare o in effetti determinare i criteri per un’ONG che abbia il fine di operare fuori i propri confini nazionali e occorre uno strettissimo controllo su chi gestisce queste ONG non riconosciute dall’ONU o enti simili.

*Comandante
Programma di Sviluppo per Vigili del Fuoco - FRDP
(Fire Rescue Development Program)

12.5.20



Guardare la trave, non la pagliuzza



di Biagio Cacciola *

Nel giro di un anno, 4 ostaggi italiani sono stati liberati dalle mani di fazioni più o meno riconducibili alla rete terroristica di al kaeda o isis, come gli Shebaab somali. Tutti riconducibili alla influenza che la Turchia, a partire dall'aggressione alla Siria di quasi dieci anni fa, ha ramificato in Somalia, Libia e appunto Siria. Tutto s'intende col beneplacito Nato e degli americani. Nel frattempo i nostri servizi esteri l'Aise, pur lavorando in modo intelligente, hanno perso nel ginepraio somalo i contatti che, storicamente, avevano con la Somalia dei tempi di Barre. Diciamo subito che l'ondata di corbellerie dette dagli odiatori di professione contro una ragazza, a cui si può solo rimproverare il classico idealismo dei ventenni, non è suffragata da nessuna forma di conoscenza dei vari teatri geopolitici. Al di là del trauma di una prigionia dura e piena di malattie, i leoni da tastiera non sanno nemmeno che la zona keniota dove la Romano è stata rapita era una zona tranquilla legata a una  tribù come i Giroma, a 100 km da Malindi, posto noto per i vacanzieri di tutto il mondo. La banda somala è arrivata razziando e sequestrando la Romano, spinta in quelle zone dalla guerra civile continua che infesta la Somalia da decenni. Una guerra dove si è incuneato il whaabismo finanziato dall'Arabia saudita, in stretta collaborazione con le mire espansionistiche di Erdogan. Che sposta come in uno scacchiere mercenari e contractor in Libia appoggiando Serraj, in Siria, attaccando Assad, in Somalia per imporre un governo filoturco. In questa situazione gli 007 italiani hanno dovuto, per forza, trattare con i servizi turchi. A chi tutto questo non sta bene non gridasse contro una ragazza e i soldi (spiccioli rispetto a quelli che gestiscono i servizi) spesi, ma contro la Turchia e difendesse, esplicitamente, chi il terrorismo lo combatte da decenni come Assad e Putin. Il resto è noia.
* Filosofo e scrittore


1.5.20



I FANTASMI

DEL COMPARTO NAUTICO


di Carmelo Fontana *

Abbiamo tentato di spiegare le nostre ragioni in tutti i modi possibili anche attraverso Assonautica e Confindustria nautica, con UCINA non ho contatti, comunque fa parte anch'essa di confindustria. Il decreto sulla fase 2 del 26 aprile come volevasi dimostrare non contempla gli spostamenti fra regioni e non consente l'utilizzo delle imbarcazioni per il diporto, se non a scopo di manutenzione tecnica, ovvero :
in Liguria, Veneto, Friuli, Lazio, è consentito ai cantieri e agli armatori della stessa regione, l'accesso alla barca, ma solo per lavori di manutenzione e solo quelli da realizzarsi in giornata, senza possibilità di navigare per diporto, o di rimanere a dormire per la notte.

Questo è insufficiente, con ampi spazi lasciati alla interpretazione personale degli addetti ai controlli ed inutile. Oltretutto non chiarisce l'esecuzione del lavoro degli addetti di settore. Ad esempio io con codice ateco 30.12 posso realizzare un lavoro ed andarlo a consegnare con la mia targa temporanea. Non mi è chiaro e nessuno sa dirmi se posso uscire fuori dalle acque territoriali, come inquadrare l'equipaggio, come faccio a consegnare fuori regione, come dormire a bordo durante il trasferimento, è chiaro che chi ha emesso il decreto non è mai stato a bordo.
Tengo a sottolineare che le attività legate al mondo della nautica, sono a basso impatto per rischio di contagio, il governo si ostina ad essere legato ai codici ateco, ne scaturisce che per ansia di semplificare situazioni molto complesse, non risolve il problema di intere categorie, più complesse e meno rappresentate anche se muovono grandi interessi economici e di rappresentanza per il made in Italy, riducendo I decreti a estrazioni come per il lotto a chi ha codici ateco più o meno sfigati!
Ritengo che sia giunto il momento di ridare al settore del diporto la possibilità di tornare a lavorare. Facciamo tornare a bordo gli utenti lasciamo le persone andare per mare, non daranno fastidio a nessuno, salvando da crisi certa quasi mezzo milione di persone che già in parte rivedranno qualche soldo in gennaio 2021.

Le precauzioni del caso, come già ribadito più volte, saranno seguite, già normalmente in banchina non esiste assembramento. Tanto meno nei yachting club.

Operatori, continuiamo a parlarne. Manteniamo alta la nostra voce perché di noi parlano troppo poco, ci trattano come fantasmi, però di stagione in barca, molti personaggi ci vanno eccome!
Il nostro fermo segnale, deve arrivare al governo, dobbiamo far capire l'importanza e l'opportunità che deriva dalle nostre richieste.

* Comandante  
   Segretario Assonautica Terracina