26.12.20

 



74 anni fa, nello studio del padre di Arturo Michelini,

Almirante, Romualdi ed altri diedero vita

alla più entusiasmante esperienza politica del XX secolo:

nasceva il Movimento Sociale Italiano

BUON COMPLEANNO!


di Roberto Buonasorte

 

Quanto l’abbiamo amata quella fiamma tricolore!

L’abbiamo amato e onorato fino alla fine, quel simbolo che per mezzo secolo ha rappresentato e racchiuso in sé la pulizia morale, la lotta alla partitocrazia, alla corruzione dilagante, al clientelismo più sfacciato.

Chi giovanissimo, come molti di noi, entrò per la prima volta in una sezione del Movimento per chiedere di iscriversi, non lo faceva certo con la speranza di ottenere in futuro un privilegio, un posto di lavoro, una cortesia; no, eravamo animati unicamente dalla voglia di lottare per affermare quella giustizia sociale che democristiani e comunisti dicevano sì di voler raggiungere, ma purtroppo solo a parole.

Noi eravamo l’alternativa al sistema

Fuori dai giochi di palazzo e per quarant’anni fuori dall’arco costituzionale, i missini hanno rappresentato davvero un argine alla prepotenza dei potenti di turno, tanto da ottenere, molto spesso, i più importanti successi elettorali proprio nelle periferie e nelle borgate popolari ormai abbandonate dai compagni.

Quelle battaglie, negli anni Settanta, hanno dato vita ad una lunga scia di sangue.

Le sezioni missine erano ben individuabili e dunque facili bersagli per gli attentati dei compagni che mal digerivano quella politica autenticamente popolare portata avanti – soprattutto dai ragazzi del Fronte della Gioventù - nelle zone più degradate delle periferie.

Ma non solo lotte popolari

Il Movimento e il Fronte – più il secondo, a dire il vero – nell’arco di cinquant’anni sono stati precursori di temi che soltanto anni dopo sarebbero entrati a pieno titolo nel dibattito prima e nell’agenda politica poi: l’ala del partito più vivace, in termini di idee rivoluzionarie e anticipatrici dei tempi, fu sicuramente quella rautiana.

Si devono infatti agli uomini vicini a Pino Rauti le tesi più moderne che mai si siano affrontate in quegli anni: dalla tutela dell’ambiente (i Verdi ancora dovevano nascere…) alle politiche per la natalità, fino ai Campi Hobbit (fucina per molti ragazzi che in futuro sarebbero arrivati ai vertici delle Istituzioni) e alla lotta al consumismo, che invece per la maggioranza delle persone dell’epoca era un modello da prendere ad esempio anziché combattere; questo solo per fare alcuni esempi.

Per tanti giovani intellettuali, da Marco Tarchi a Biagio Cacciola, da Pietrangelo Buttafuoco fino al compianto Marzio Tremaglia, quella fu una vera palestra politica che poi in seguito li avrebbe portati a divenire apprezzati professori, saggisti e giornalisti.

Quel 26 dicembre del 1946

Era un giovedì, quel 26 dicembre del 1946, quando presso lo studio del padre di Arturo Michelini – che in seguito ne diventerà Segretario nazionale – Giorgio Almirante, Pino Romualdi ed altri diedero vita ufficialmente al Movimento Sociale Italiano.

Quel manipolo di uomini, quasi tutti reduci della Repubblica Sociale Italiana, tra i tanti meriti che ebbero nel corso di cinquant’anni di attività politica, in primis forse c’è quello di aver dato una casa a centinaia di migliaia di italiani che a conclusione del conflitto mondiale erano sbandati, senza più riferimenti.

L’azione lodevole di quegli uomini fu quella di portare quegli italiani in un contesto “democratico” ed in seguito persino nelle Istituzioni rappresentative.

Oggi per molti parlare di Almirante, Romualdi, Rauti, Michelini, Baghino; e ancora, Servello, Pazzaglia, Valensise, Tremaglia, Niccolai e tanti altri ancora, dice poco; ma se non ci fossero stati loro non ci saremmo noi...

E oggi come allora – riesumando lo slogan del primo congresso del 1948 – possiamo riaffermare “Non rinnegare, non restaurare”. Questo vale anche per la destra dei nostri giorni che è indubbiamente in mani sicure, consapevoli che le radici profonde non gelano mai, e per concludere - prendendo in prestito Pierangelo Bertoli - potremmo dire “…con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.

Buon compleanno, Movimento Sociale Italiano!

 


20.12.20

 

La verifica, rimandata a gennaio, sarà la solita buffonata tra Renzi e Conte,

con il primo interessato solo alle nomine ed il secondo che tenterà di sopravvivere

CADRA’ A MAGGIO, NON PRIMA



Ma il premier non arriverà a luglio,

già in primavera il bullo di Firenze staccherà la spina,

e con l’inizio del “semestre bianco” addio urne, ma con Draghi in campo

 

di Roberto Buonasorte

 

Amici carissimi non illudiamoci. Statene certi, al di là delle nostre speranze – che sono la logica conseguenza di uno stato d’animo inquieto e depresso dovuto da una condizione non più sopportabile – nella verifica di gennaio, quando Conte e Renzi si incontreranno di nuovo per tirare le somme, non succederà nulla.

Cerchiamo di essere concreti e proviamo a ragionare; non invocando o prefigurando ciò che noi vorremmo accadesse (sarebbe troppo facile) ma analizzando lo scenario politico e valutando “costi” e “benefici” dell’azione della sgangherata compagine di governo al potere, e cerchiamo di immaginare il futuro. Riflessioni ad alta voce, indispensabili per capire cosa potrebbe accadere nel tempo a venire.

Se Renzi staccasse la spina a gennaio si andrebbe a votare con la riduzione del numero dei parlamentari ma con il sistema elettorale vigente, tradotto: Italia Viva sparirebbe, i Cinque Stelle passerebbero da 283 parlamentari a 75; ben 208 di essi cadrebbero nella disperazione più totale non sapendo come pagare le rate di mutuo e con l’aggravante che la prima misura del nuovo esecutivo sarebbe quella, ironia della sorte, pure dell’abolizione del reddito di cittadinanza…

Il PD perderebbe una quarantina di parlamentari, ma si libererebbe definitivamente del fantasma di Renzi, e pure la Lega ne perderebbe una trentina.

Per Forza sarebbe una Caporetto: da 145 passerebbe a 60.

L’unica forza in campo (stando agli attuali sondaggi) che addirittura raddoppierebbe la rappresentanza – passando dagli attuali 52 ai probabili 105 seggi – sarebbe Fratelli d’Italia; motivo per il quale, oltre ad un ragionamento figlio di una grande coerenza, Giorgia Meloni va ripetendo non solo “mai col PD, mai con i Cinque Stelle”, ma anche “no a governissimi”, e “dopo Conte ci sono solo le urne”.

Orbene, a conclusione del nostro ragionamento, con le elezioni anticipate il centrodestra unito su 600 seggi a disposizione tra Camera e Senato ne eleggerebbe oltre 320, maggioranza assoluta! Mettendo dunque una seria ipoteca sull’elezione non solo del Presidente della Repubblica, ma - a caduta - Consulta, CSM e via elencando.

Sono pur sempre compagni ma non certo stupidi

Dunque, immaginiamo, che la “tarantella” Renzi la porterà avanti per qualche altro mese, incasserà prima la sua parte tra le 500 nomine che da qui a poco andranno fatte, e solo tra maggio e giugno – quando ormai non si potranno più sciogliere le Camere per via dell’inizio del “semestre bianco” – staccherà la spina a Conte.

Incurante, Renzi, di perdere qualche pezzo – fonti qualificate ci riferiscono di consiglieri regionali pronti a ripassare con il centrodestra – avrà portato a compimento il suo “capolavoro”: salvata la poltrona, spalancata la porta ad un governo Draghi, spianata la strada verso un incarico internazionale grazie alla nascita di un esecutivo di unità nazionale, e rimandato Conte a fare la professione di prima, l’avvocato semplice, non più quello del popolo…

25.10.20

 

Il Tempio di Vesta,

storia di un restauro

 


Il Parco Archeologico del Colosseo in diretta sui social svela le tappe del prezioso lavoro che si svolge nel Foro Romano

di Anna Beatrice d'Assergi

Roma e le sue meraviglie costituiscono qualcosa di straordinario che è ogni giorno sotto i nostri occhi, sono presenti ovunque al punto che spesso nemmeno ce ne rendiamo conto, presi dal traffico cittadino e dai rumori che affliggono la Città Eterna. Tutti conosciamo l'esistenza del Foro Romano, ma quante volte ci siamo fermati ad osservarlo? Quante volte abbiamo sentito il bisogno di saperne di più?

 Roma è un patrimonio straordinario e mondiale, che appartiene all'umanità intera e che va valorizzato. Di tesori l'Italia ne ha tanti, "troppi" potremmo dire: così tanti che troppo spesso non si riesce a tutelarli e a valorizzarli a dovere. I fondi sono sempre insufficienti, c'è sempre qualcosa che "viene prima", che sembra essere "più urgente". E invece questa tutela, e questa valorizzazione, sono "urgentissime", perché queste meraviglie, se non saremo bravi a tenercele strette, nessuno potrà mai restituircele. Ecco perché è straordinariamente prezioso il lavoro che in questi anni sta facendo il Parco del Colosseo: negli ultimi mesi sono state tante le iniziative dedicate proprio alla salvaguardia del patrimonio storico artistico.

Oggi parliamo del restauro del Tempio di Vesta, ma potremmo citare molti interventi conservativi svoltisi negli ultimi mesi, tutti molto rilevanti, come il restauro dell'Arco di Tito, il cui ultimo intervento risaliva al 1930. O come i lavori previsti sull'Arco di Settimio Severo, risalente al 203 d.C., dello scorso aprile, già restaurato negli anni '80. O ancora come gli interventi alla Domus Tiberiana, che hanno visto la partecipazione degli studenti della scuola di specializzazione della Sapienza, o lo straordinario restauro della Dama di Cartagine, intervento delicatissimo portato a termine splendidamente dagli esperti. E vale la pena almeno accennare al lavoro dedicato al basamento della Colonna Traiana, gioiello dell'antichità inaugurato nel 113 d.C., con i suoi circa 40 metri di altezza e la meravigliosa decorazione a spirale che narra, scena per scena, l'impresa traianea in Dacia.

Qualche giorno fa è stata trasmessa in diretta sui social la seconda puntata della serie dedicata al restauro del Tempio di Vesta: basta cliccare sulla pagina Facebook del Parco del Colosseo per restare aggiornati sul prosieguo dei lavori, che vengono puntualmente spiegati a partire dai documenti che sono stati rinvenuti negli archivi, preziosissima fonte per capire l'evolversi delle vicende legate a questa struttura.

Intanto vale la pena capire dove siamo e cosa abbiamo di fronte: siamo nel Foro Romano, il Tempio di Vesta è riconoscibilissimo tra i ruderi che affollano il Foro per la sua forma circolare, di cui restano alcuni frammenti. Frammenti che hanno una lunga storia...

Ma cominciamo dall'inizio: il Tempio di Vesta ha, dicevamo, una forma circolare. Ricorda quella delle capanne che furono le prime abitazioni dei Romani, quando Roma era ancora solo un gruppo di villaggi rurali sul Palatino. Qui dove oggi vediamo le rovine del meraviglioso Foro Romano, a quel tempo - intorno all'VIII secolo a.C. - c'era solo terra acquitrinosa e il luogo era destinato alle sepolture. Solo in un momento successivo diventerà il luogo più importante di Roma, della Grande Roma: il Foro Romano. Il Tempio di Vesta era - ed è ancora - un sito ricco di significato: al suo interno ardeva il fuoco perenne, quello che doveva restare sempre acceso, a simboleggiare l'eternità di Roma immortale, e che era custodito dalle Vestali. Queste sacerdotesse godevano di grande prestigio, a loro erano riservati posti d'onore nelle evenienze pubbliche, ma avevano l'obbligo di restare vergini per trent'anni almeno, pena la morte. Vivevano nella Casa delle Vestali, adiacente al Tempio di Vesta, oggi riconoscibile per la presenza di vasche quadrangolari che originariamente erano posizionate al centro di un grande cortile colonnato. Nel Tempio, secondo la tradizione, era conservato il Palladio, il simulacro di Pallade Atena, portato da Enea nel suo mitico viaggio da Troia.

Ebbene questo luogo, così denso di significato, così altamente simbolico per Roma e per il paganesimo, per l'immortale storia di questa straordinaria città e di questa eterna cultura, viene oggi tutelato da un'equipe di esperti. Nel video in diretta dal Foro Romano tre giorni fa, la funzionaria archeologa Giulia Giovannetti e Simosthenis Kosmopoulos, archeologo e collaboratore del Parco, hanno trasmesso la seconda di queste puntate informative sul prosieguo dei lavori: la prima è andata in onda il 30 settembre scorso, non è una data casuale. Il 30 settembre del 1929, infatti, Alfonso Bartoli comunicava l'inizio dei lavori di ripristino dell'Aedes Vestae.

Questo preciso lavoro di informazione viene svolto attraverso il resoconto, tra l'altro, dei documenti rinvenuti negli archivi, che raccontano la storia del restauro di questo bene: nel 1930, in pieno regime fascista, lo stesso Alfonso Bartoli, direttore dell'Ufficio Scavi del Palatino e del Foro Romano, fu incaricato di ricostruire il Tempio: venne realizzato allo scopo un modello al vero in gesso, che fu poi smontato prima dell'intervento. Diverse le vicende che i resti di questo monumento possono raccontare: saranno spiegate strada facendo proprio dagli esperti impegnati nel lavoro di restauro, appunto con dirette periodiche dal Foro. Dunque, qui non anticiperemo altro e lasceremo solo un consiglio: seguite la pagina del Parco del Colosseo, per restare aggiornati. Ne vale certamente la pena. Il Parco Archeologico del Colosseo è diretto da Alfonsina Russo, la RUP del cantiere di restauro del Tempio di Vesta è la dott.ssa Federica Rinaldi. Buona visione.

 

15.10.20

 

Il Presidente dell’ASI, da poco riconfermato, approda al Gruppo misto del Senato

Con un occhio verso Fratelli d’Italia? E quanti saranno disposti a seguirlo? Balla la provincia di Latina?

LA LEGA PERDE PEZZI



Il Senatore Claudio Barbaro scende dal Carroccio: decisione sofferta, dice

Il ruolo di Alemanno nella sua elezione a Palazzo Madama, e poi i dissidi con Giorgetti, la mancata nomina a coordinatore del Dipartimento sport, la sintonia con Malagò

 

di Roberto Buonasorte

 

Claudio Barbaro è un amico.

La sua ossessione per cercare di aiutare il mondo dello sport la ricordo molto bene: sempre a caccia di risorse, soprattutto per quello dilettantistico, il più povero, tanto di cappello.

E poi le manifestazioni in onore del ”Giorno del ricordo” dedicato alle vittime delle foibe.

Proprio domenica scorsa è stato riconfermato Presidente dell’ASI (Associazioni sportive sociali italiane), la sua creatura, e ha fatto un certo effetto registrare gli interventi di tanti esponenti della destra - da Lollobrigida ad Alemanno – ma di nessun leghista.

Ieri poi l’annuncio: lascio al Lega, decisione sofferta... – battono le agenzie – e approda al misto, per ora…

Negli ultimi anni con Barbaro abbiamo fatto un tratto di strada insieme; con il Movimento Nazionale per la Sovranità per l’esattezza, poi la sua candidatura a Consigliere comunale di Roma nella Lista Storace a sostegno di Alfio Marchini. 

Alemanno e Storace nel 2018 strinsero un patto con Salvini ed alcuni esponenti del Movimento furono candidati nelle liste leghiste, fra questi proprio Barbaro, che poi risultò l’unico eletto, al Senato, nella Circoscrizione Campania.

Ma uno come Barbaro – cresciuto nel MSI, poi militato in AN, PDL e persino in Futuro e Libertà con Gianfranco Fini - che c’entrava con Salvini e quella sua Lega strillona, in molti casi superficiale?

Infatti, a partire dai dissidi con Giorgetti sui temi dello sport (i maligni dicono che ci sia di mezzo pure la mancata nomina a Responsabile del Dipartimento Sport del partito di via Bellerio), sul ruolo del CONI e quella sintonia con Giovanni Malagò, lo portano ad essere sempre più insofferente, fino alla decisione di ieri.

I suoi fedelissimi (oggi ancora in Lega) giurano fedeltà al Capitano, anche se tutte le indiscrezioni lasciano pensare il contrario…

Ad apparire più preoccupata sembra essere quella Lega che nel sud del Lazio (feudo della coppia Zicchieri - Durigon) ha subito una delle sconfitte che più bruciano: a Terracina dove Procaccini contro tutti ha avuto la meglio, e a Fondi dove Claudio Fazzone (futuro leader leghista in terra pontina?) ha umiliato i seguaci di Salvini che hanno ottenuto un ridicolo due per cento, facendo registrare il peggiore risultato d’Italia!

Si dice che Barbaro sia solo l’inizio, e che la partecipazione non proprio entusiasmante dei leghisti alle ultime riunioni romane, siano solo l’antipasto di ciò che accadrà di qui a poco, a cominciare proprio dalla provincia di Latina e che poi, percorrendo la strada statale Pontina, potrebbe arrivare dritto dritto sino al cuore della Pisana.

Sarebbe solo questione di tempo…

11.10.20

NON  È GILETTI




di Roberto Buonasorte

Venti giorni fa lo davano quasi certo candidato sindaco di Torino (sua città natale) per il centrodestra, da qualche giorno per quello di Roma; una specie di Stefano Parisi: un candidato buono per tutte le stagioni perdente sia a Milano che nel Lazio.

Egli è Massimo Giletti, da qualche tempo sotto scorta per via di alcune minacce ricevute dai boss della mafia a seguito di inchieste sugli stessi.

Bravo giornalista, Massimo Giletti, senza dubbio; anche molto abile aggiungiamo noi.

Approdato in Rai giovanissimo, diviene molto amico di Fabrizio Del Noce, fa tutta la trafila per poi giungere a condurre trasmissioni di successo, i maligni gli attribuiscono anche una storia con l’affascinante eurodeputata del PD Alessandra Moretti.

Da qualche anno – dopo aver rotto con la Rai dove conduceva “L’ARENA” - approda alla corte di Urbano Cairo su La7 per condurre NON È L’ARENA”.

Avrebbe potuto fare l’industriale, Giletti, ed occuparsi della florida azienda paterna e fare la vita da ricco – si dice che la famiglia viva addirittura in un castello – e invece no; la passione per il giornalismo lo porta altrove.

Pur di fare audience è disposto a tutto, usa magistralmente la telecamera, gli va incontro battendo gli occhi - una sorta di Gianfranco Funari in chiave moderna – che è sempre molto efficace e se vogliamo anche un po' chic...

Da una cultura che si potrebbe definire liberale, negli anni del craxismo rampante si avvicina a quella socialista affiancando Giovanni Minoli a "Mixer", ma quando prende piede il Movimento 5Stelle Giletti diventa populista e giustizialista, una specie di Marco Travaglio della televisione...

Oggi che i seguaci di Grillo e Di Maio sembrano caduti in disgrazia, il nostro si è spostato su Salvini il quale però, a sua volta, sta meditando di mollare la Le Pen per virare - come ha detto lui stesso qualche giorno fa - verso un approdo di tipo liberale.

Ora qualcuno, tornando alle imminenti comunali di Roma, dovrebbe spiegare cosa c'entra l'idea di proporre Sindaco di Roma il neo populista-giustizialista Giletti con la rivoluzione liberale invocata dal "Capitano", come ha bene ricordato qualche giorno fa lo storico esponente socialista Donato Robilotta.

Non abbiamo bisogno di prestati alla politica: i danni o l'inefficienza di ex imprenditori, ex attori, ex calciatori, ex pornostar, ex giornalisti, ex sindacalisti/e li abbiamo visti e in alcuni casi anche toccati con mano. 

Per chi ancora crede nella buona politica, stia meno sulla rete, dietro i guru dei sondaggi, e un po' più tra le persone; partiti e movimenti che possono vantare una buona classe dirigente giovane e fresca presente sui territori, la valorizzi, la faccia crescere e i buoni risultati arriveranno, sia per Roma che per il Lazio. La politica non deve vergognarsi di se stessa anzi, proprio facendo tesoro degli errori del passato, deve ripartire da lì: dai Municipi, dai Consiglieri di Roma Capitale, da quelli regionali.

Così come non rimpiangiamo i giornalisti prestati alla politica tipo Michelini, Badaloni o Marrazzo, diciamo con chiarezza che il candidato per Roma "NON È GILETTI", continui a condurre "NON È  L'ARENA", gli si addice molto meglio.



 

 

7.10.20

 

Ci si prepari, tra pochissimi mesi probabilmente si voterà per il nuovo inquilino di via Cristoforo Colombo, poi a giugno per il Comune

ZINGA MOLLA LA REGIONE?



Pronto l’accordo PD-5Stelle, e con la probabile condanna della Raggi verrà meno l’ultimo ostacolo

Roberta Lombardi, o la Taverna, candidata Governatore e G. B. Sindaco?


di Roberto Buonasorte


L’uomo è quello che è, lo conosciamo.

A Nicola Zingaretti hanno affibbiato un sacco di soprannomi, ma quello che meglio di ogni altro probabilmente rispecchia il personaggio è “er saponetta”.

Coniato per via di quella dote più unica che rara di sfuggire di fronte alle difficoltà, inabissarsi appena scoppia una grana che lo sfiora, marcare visita un minuto dopo che qualcuno gli sussurra un inizio di indagine, Nicola è sempre al posto giusto nel momento giusto.

E soprattutto non si sbilancia mai.

Ogni sua dichiarazione è ponderata, e rilasciata solo dopo che sono stati fugati i mille dubbi, i pro ed i contro, per questo l’uscita di ieri pomeriggio ha lasciato tutti di stucco.

"Avverto fatica per il doppio ruolo di Governatore e leader del partito" – ha fatto sapere Zingaretti – "nelle prossime settimane" ha concluso in modo sibillino, "vedremo e discuteremo su come andare avanti"… .

Tradotto, uno dei due incarichi vorrei lasciarlo, e siccome appare altamente improbabile che si possa dimettere da Segretario del PD, è chiaro che intende mollare la poltrona di Presidente di regione.

In politica, si sa, nessuno ti regala niente, se poi l’avversario è un compagno allora scordati che possa cederti un solo millimetro di terreno; appare evidente dunque che quella vecchia canaglia di Zingaretti ha stretto un patto per andare insieme ai 5 Stelle sia in Regione che al Comune: un pentastellato (pentastellata) in via Cristoforo Colombo, un PD in Campidoglio.

Con l’ostacolo Raggi, però, che non intende mollare; a meno che non arriva la condanna nell’imminente pronuncia che da qui a qualche settimana arriverà e a quel punto potrebbe realizzarsi il sogno di Roberta Lombardi (o in alternativa Paola Taverna) di candidarsi a Presidente per cedere la candidatura a Sindaco ad un uomo forte del PD che dopo le rinunzie di Gualtieri, Sassoli ed Enrico Letta, di fronte ai quattro cinque litiganti attuali, potrebbe arrivare lui a mettere tutti d’accordo: Goffredo Bettini, con il placet – persino – di Matteo Renzi di cui (a differenza di Zingaretti che era schierato per Bersani) fu uno dei maggiori sponsor del bullo fiorentino.

Fantapolitica? Materiale per retroscenisti incalliti? non sappiamo.

Sappiamo invece che il colpo di scena potrebbe arrivare inaspettato in ogni momento, ed è per questo che occorre tenersi pronti, tutti, nessuno escluso, perché si tratta di una battaglia durissima e di fronte, come detto, abbiamo i compagni, che non ti cedono neppure un millimetro.

Emiliano e De Luca insegnano...

 

 

 


29.9.20

Questa notte, su Sky Tg24, l'atteso confronto tra Donald Trump e Joe Biden

SFIDA ALL’ULTIMO VOTO


Due visioni in campo, negli States, con un occhio ai sondaggi e l’altro sulla prospettiva futura
Intanto la Meloni è stata eletta Presidente dei Conservatori europei
Da noi, domenica, i ballottaggi per i Sindaci

di Roberto Buonasorte

E' una settimana intensa, sul piano politico, quella che stiamo vivendo.

Domenica prossima ci saranno i ballottaggi per eleggere i Sindaci delle città italiane che non ce l'hanno fatta al primo turno; da nord a sud la sfida sarà tra centrodestra e centrosinistra, con i 5 Stelle fuori dai giochi: ininfluenti, spariti, evaporati, come è giusto che sia...

Sul piano internazionale invece, apprendiamo con grande soddisfazione della elezione di Giorgia Meloni a Presidente del partito dei Conservatori europei.

Non era mai successo che una donna ricoprisse tale carica, e ci fa piacere - inoltre - per almeno altre due ragioni: la prima è che sia un'italiana, la seconda è che si tratta del leader del nostro partito; alla faccia di quanti volevano far credere che la destra italiana era isolata nel contesto internazionale...

Poi, inevitabilmente, lo sguardo, l'attenzione, la curiosità, ma anche l'interesse ci porta al di là dell'Atlantico, dove il prossimo 3 novembre gli americani saranno chiamati ad eleggere il loro 46mo Presidente.

Si scontreranno due visioni contrapposte sulla gestione del potere e sul modo di condurre la campagna elettorale forse come non mai nella storia americana.

Si giocherà, questa partita, durante la pandemia che ha provocato oltre un milione di morti nel mondo, e durante la crisi sanitaria e finanziaria tra le più terribili della storia.

Con un occhio - va ricordato - anche a quella umanitaria, di crisi, ed un orecchio ben attento ad ascoltare le proteste che vengono dal Black Lives Matter impegnato nella lotta contro il razzismo.

Non diamo molta importanza ai sondaggi: dicono che Biden sarebbe in vantaggio, ma tutti ricordiamo come la volta precedente quasi nessuno scommetteva su Trump, che poi invece ha vinto, quando tutti puntavano sulla Clinton.

Certo le rilevazioni del New York Times sulla presunta evasione fiscale del Presidente non aiuta, ma si vedrà, il vecchio Donald ha mille risorse...

Per i curiosi dei dettagli sappiamo che il faccia a faccia è stato allestito presso il Case Western Reserv University di Cleveland, in Ohio, alle ore 21 (le 3 del mattino italiane con collegamento su Sky Tg24 a partire dalle 2.30).

In virtù delle norme anti Covid saranno presenti non più di 90 persone e come di consueto non ci sarà la stretta di mano tra i contendenti, si avrà la possibilità di non indossare la mascherina e l'intero confronto, che durerà 90 minuti, non sarà interrotto da alcuna pausa pubblicitaria.

Modererà il conduttore di Fox Chris Wallace e ad ogni argomento trattato verrà concesso un tempo complessivo di 15 minuti.

I due appuntamenti successivi, prima del voto, saranno il 15 ottobre a Miami in Florida, e il 22 alla Belmont University di Nashville in Tennessee.

Si profila dunque una sfida all'ultimo voto, con conseguenze inevitabili anche per l'Europa e per l'Italia.

Coronavirus permettendo...





3.9.20

 

La chiusura della Scuola Italiana di Asmara:

una sconfitta (voluta) per l'Italia.


di
Aldo Rovito *

 

Dopo la decisione del Governo Eritreo di apporre i sigilli alla Scuola Italiana di Asmara, si chiude ingloriosamente una storia iniziata più di cento anni fa, nel 1903. La decisione eritrea è stata presa nel silenzio assordante del governo italiano, che anche in tale circostanza ha dimostrato il suo completo disinteresse per gli italiani all'estero (oltre che ogni visione di largo respiro nella gestione della politica estera).

Cala il sipario su u na istituzione che era sopravvissuta alle vicende della prima e della seconda guerra mondiale, alla decolonizzazione, alla lotta dell'Eritrea per l'indipendenza dall'Etiopia.

Nel 2012 sembrava che tutto fosse sistemato definitivamente tra l'Italia (la ex potenza coloniale) e la giovane Repubblica Eritrea: si era stipulato un accordo Tecnico Bilaterale tra i due Governi per regolare la gestione congiunta della Scuola, accordo della durata di cinque anni, rinnovabile alla scadenza.  Ma i guai cominciano subito. Intanto il Governo Italiano non nomina i componenti di parte italiana nel Comitato Tecnico congiunto previsto dall'Accordo Bilaterale per la gestione dell'Istituto. Inspiegabili ed inspiegati a tutt'oggi i motivi di tale omissione!

Ma le cose peggiorano decisamente nel 2017 e nel 2018, quando con la riforma dell'istruzione, si riducono drasticamente i fondi per gli istituti di formazione all'estero (D.L. n. 64/2017 e D.M. n. 2051/2018), impedendo l'impiego di personale supplente e imponendo il ricorso a docenti locali, decisioni che hanno avuto ripercussioni negative su tutto il Sistema Scolastico Italiano all'Estero, fino a quel momento uno dei punti di eccellenza dell'Italia nel mondo. In Eritrea il ricorso massiccio al personale locale ha diminuito di molto il carattere distintivo della scuola e della sua offerta formativa, ingenerando nel governo eritreo, non a torto,  l'impressione di un venir meno dell'interesse da parte italiana verso questa istituzione.

Da parte eritrea si è cercato di sollecitare l'Italia al rispetto degli accordi, ma il silenzio in cui sono caduti questi solleciti, ha frustrato ogni tentativo di soluzione del problema. Malgrado ciò, alla  scadenza dell'accordo, nel 2017, il Governo Eritreo, nel silenzio di quello Italiano, ha rinnovato la licenza di apertura dell'Istituto di anno in anno fino all'anno scolastico 2019/2020. 

Nel 2020 la incerta gestione della pandemia da parte del Governo Italiano (che tante polemiche ha ingenerato e ingenera in Italia) ha avuto ripercussioni negative anche per la Scuola di Asmara. Infatti la Scuola avrebbe deciso autonomamente la sospensione dell'attività didattica, dimenticando che la gestione della Scuola e' regolata dall'accordo del 2012, non solo senza concordarla con le Autorità locali, ma avvisandole della decisione solo poche ore prima della chiusura. Il tardivo intervento del presidente Conte presso il Capo del Governo Eritreo non ha avuto alcun esito, per cui al governo Italiano non è rimasto che raccogliere i "cocci" della propria inadeguatezza e occuparsi della ricollocazione del personale italiano in altre istituzioni. Noi riteniamo  che una storia iniziata nel 1903 non può chiudersi in questo modo, e pertanto rivolgiamo un appello al Capo dello Stato, il Presidente Mattarella, al Presidente del Consiglio,  ai Parlamentari Italiani tutti, soprattutto a quelli eletti all'estero, agli esponenti della Cultura Italiana, all'opinione pubblica italiana in generale, perché si faccia tutto quanto è possibile per trovare un accordo con il Governo Eritreo per rinegoziare un accordo per la riapertura della Scuola di Asmara. Rivolgiamo il nostro appello anche al Governo Eritreo, tramite l'Ambasciatore di Eritrea in Italia ed ai numerosi studenti ed ex studenti della Scuola di Asmara, perché siamo sicuri che la presenza della Scuola Italiana in Asmara è stato e può essere ancora fattore di progresso anche per l'Eritrea.

 

* PRESIDENTE ASSOCIAZIONE CULTURALE "IDENTITA' ITALIANA - ITALIANI ALL'ESTERO"                                         

       

30.8.20

 

Solo la Meloni può avere un ruolo importante da nord a sud, esattamente come lo ebbe Alleanza nazionale 

SALVINI IN DIFFICOLTA’



Il Capitano costretto a richiamare in servizio Bobo Maroni

Si avvera dunque la profezia di Bossi?

 

di Roberto Buonasorte

 

Il Senatur, anche se malconcio, se ne intende ancora oggi della questione settentrionale, e aveva avvertito Salvini. Quando il Capitano ha imposto alla Lega nord la svolta nazionale cercando di andare a sfondare nel centro sud, il vecchio Bossi cercò di farglielo capire in tutti i modi: “Lascia stare Matteo, noi siamo nati per difendere le ragioni del nord operoso e produttivo a differenza di un centro ed un meridione d’Italia che vive di evasione e assistenzialismo”. E ancora: “Può darsi che all’inizio quelli ti seguono, ti applaudono, ma poi ti mollano per salire sul nuovo carro del vincitore, come è loro abitudine...”. Ma lui - Salvini - niente, va avanti come un treno e si gasa, impazzisce nel sentire il napoletano che dal balcone del quartiere Sanità gli grida “Jamme Salvini, ‘e napuletane stann c’u te”. E che impressione sentire il pugliese (e però la Lega in quella regione ha commissariato il partito con un abruzzese...) con quell’accento inconfondibile gridare “Ma-ttééé-o”, “Ma-ttééé-o”. 

Sulla fine che farà la Lega in Sicilia, terra sempre anticipatrice degli eventi, ci asteniamo dal dare giudizi. Lì può succedere di tutto.

Nando Pagnoncelli proprio ieri, sul Corriere, ha pubblicato l’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto nelle prossime regionali in Campania; De Luca vincerebbe con oltre 20 punti di vantaggio, e a nulla servirebbe – per il povero Caldoro -  il raddoppio di voti a Fratelli d’Italia che passerebbe dal 5,8% delle europee al 10,2%, e nemmeno il leggerissimo incremento di Forza Italia (che in Campania resterebbe il primo partito del Centro destra) passando dal 13,7% delle Europee al 14%. Tutto ciò non basta, perché la Lega crollerebbe dal 19,2 delle ultime Europee ad un misero 3,3. Proprio così, poco più del 3 per cento...

Si dimostra dunque - esattamente come fu per Alleanza nazionale - che solo Fratelli d’Italia può avere un ruolo da protagonista nel Paese, e muovendosi sulle orme di Fini (solo fino a quando Gianfry non è impazzito inanellando una cazzata dietro l’altra) potrà ottenere successi fino a qualche mese fa inaspettati. 

Intanto, sempre dalle indiscrezioni di stampa di ieri - non smentite, anzi... - sembrerebbe che Salvini abbia chiesto a Bobo Maroni di tornare in campo offrendogli, addirittura, la candidatura a sindaco di Varese nella imminente scadenza del 2021. È lo stesso Maroni che Salvini ha fatto fuori da Presidente della Lombardia preferendogli quel Fontana che tanto ha fatto parlare di sé durante l’emergenza Covid. Il Capitano dunque richiama in servizio la vecchia guardia fiutando, probabilmente, quella fronda che da Bossi a Giorgetti, da Maroni fino anche a Calderoli potrebbe, subito dopo le regionali, metterlo sotto accusa con il rischio di fare la stessa fine (e anche questo lo anticipammo sul nostro blog) dell’altro Matteo?

Non sappiamo, vedremo...

Il fronte cosiddetto “sovranista”, intanto, si prepara ad un derby surreale e all’ultimo sangue nel Lazio (in particolar modo nel sud del Lazio) dove, anziché andare unito e compatto, la Lega ha stretto un patto con Forza Italia nel tentativo di ridimensionare Fratelli d’Italia che in quella provincia - oltre a poter contare su una classe dirigente di alto livello - ha avuto la “colpa” di eleggere  furor di popolo addirittura un Parlamentare europeo, l’ex Sindaco di Terracina Nicola Procaccini. Questo ha indotto l’altro terracinese, Francesco Zicchieri, coordinatore regionale della Lega, a stringere un patto di ferro con il coordinatore regionale di Forza Italia, senatore Claudio Fazzone, nel tentativo di isolare il partito della Meloni. Operazione che non riuscirà: le manovre di palazzo contro il popolo sovrano hanno sempre portato male. Anche a Terracina: quando proprio il resto del centrodestra sfiduciò l’allora sindaco Procaccini, la città venne chiamata a votare di nuovo. Chi vinse? Ovviamente Procaccini, e la stessa cosa accadrà tra tre settimane: “non a Fondi però!”, replicano piccati i signori delle tessere e delle clientele locali. Ma mai dire mai...

 

19.8.20

LEGA NERD 


di Roberto Buonasorte

Son passate settimane e mesi da quel “lontanissimo” agosto del 2019 eppure, politicamente, pare trascorso un secolo se non più.

Si avvicinano le elezioni regionali del prossimo settembre (sempre che non le rinviino per la seconda volta, per via del Covid…) e il leader della “Lega” appare sempre più isolato, confuso; punta ai “social”, Salvini, anziché impegnarsi a promuovere convegni di livello, dibattiti plurali, confronti. 

Sembra un pugile suonato che ha perso la bussola; si rinchiude ogni giorno nel suo isolamento dorato, irreale, fatto di selfie e foto al mattino con cappuccino e cornetto, nel pomeriggio con anguria o gelato, e la sera con pizza e birra a volontà.

Immagini, frazioni di secondo, clic, social, like: è l’incredibile mondo di Salvini che ha trasformato la “Lega Nord” in “Lega nerd”, potremmo dire, tanto per sintetizzare…

Non è un caso, né un’opinione isolata di qualche sondaggista nemico, se tutti gli istituti di ricerca sono concordi nel rilevare che il partito di Salvini è in caduta libera; c’è chi sottolinea che in un anno avrebbe perso, addirittura, più di dodici punti passando dal 37 attribuito subito dopo le europee al 23/24 di oggi.

Se così fosse significherebbe aver lasciato sul campo qualcosa come 3 milioni di voti. Tre-mi-lio-ni! Un colpo durissimo, devastante.

Bene, e se al sud – come hanno dimostrato le regionali in Calabria e come dimostreranno probabilmente quelle pugliesi e campane – le cose per la Lega non andranno bene, eccezion fatta per il Veneto, Salvini dovrà inesorabilmente registrare un arretramento anche nel centro nord, a partire dalla Liguria per poi raggiungere anche le Marche e persino la Toscana dove correrà la “sua” Ceccardi nonostante il coraggio, la bravura e la determinazione che sta caratterizzando la durissima campagna dell’eurodeputato del Carroccio.

Un colpo, insomma, che dalle Alpi alla Sicilia attraverserebbe l’intera lingua di terra che si estende nel Mediterraneo.

Si avvererà, quindi, quella profezia che l’Umberto esplicitò in molte occasioni prevedendo che la svolta nazionale impressa da Salvini alla Lega nord ne avrebbe snaturato anima e corpo, portandola dunque al suicidio?

Per ora si direbbe di no, perché - va detto con molta onestà e chiarezza – quando un elettore su quattro ti vota, tanto di cappello, ci mancherebbe altro…

Ma conoscendo e studiando a fondo – almeno in Italia – che fine han fatto quei partiti che anziché far crescere i territori e la classe dirigente periferica in base a principi ispirati all’onestà e alla meritocrazia, hanno personalizzato il partito ad immagine e somiglianza del “Capo” (quasi sempre circondato da una corte ossequiosa e servile), Matteo Salvini se non cambia registro rischia di fare quella fine: di Matteo Renzi, Antonio Di Pietro, Gianfranco Fini, tanto per fare alcuni esempi molto significativi.

Salvini quindi - a nostro modesto parere - si trova innanzi ad un bivio: o recupera quella vocazione autenticamente popolare - fatta di sangue e merda - che ha sempre caratterizzato i partiti radicati, veri, fatti di uomini e donne in carne ed ossa, oppure cederà alla rete, alle emozioni del momento - che, in quanto tali, emozioni rimarranno - e continuerà sul quel sentiero (apparentemente ampio all'inizio, ma che in realtà si restringerà sempre più) impervio e che lo porterà sull'orlo del precipizio.

A quel punto ogni inversione, retromarcia, ravvedimento, pentimento, saranno inutili.

Il bivio è vicino ma non ancora superato, di tempo ve ne è poco ma comunque c'è: al Capitano non sbagliare tempi e mosse.

 


27.7.20



IL SUCCESSO DELLA MELONI

E LE INSIDIE DA EVITARE


di Roberto Buonasorte 


Molti pensano che la morte politica - ma se vogliamo anche umana – di colui che per anni è stato il leader più amato dagli italiani, sia giunta con lo scandalo della famosa casa di Montecarlo.
In realtà il declino di Gianfranco Fini, e con esso quello di Alleanza nazionale, era iniziato già da prima, da quando cioè si era messo in testa di voler piacere alla curva avversaria; ed ecco dunque il continuo apprezzamento per la magistratura (che contemporaneamente però “bombardava” un giorno sì e l’altro pure “l’alleato” Silvio Berlusconi.
Poi la presa di posizione, nel 2005, sui quesiti referendari ed in particolare quello sulla procreazione assistita.
Capiva, Fini, di essersi indebolito e dunque accettò di entrare nel partito unico del PDL trattando, ed ottenendo, un numero di seggi parlamentari ben più ampio di quelli che avrebbe portato a casa se si fosse presentato al cospetto degli elettori con il simbolo di An. Opportunismo? Intuito? Spregiudicatezza? Un po’ di tutto, normale in politica, non ci scandalizziamo, siamo uomini di mondo.
Poi certo arrivò Montecarlo, la creazione di Futuro e Libertà, l’alleanza con Mario Monti, i soldi di Corallo Re delle slot machine.
E fu la fine. Confinato a vita privata - come è giusto che sia -  tra processi penali e guai di altra natura.
Ma fino al 2005 era stata un’altra storia: dagli esordi davanti al grande pubblico con la candidatura a Sindaco di Roma, alla svolta di Fiuggi, che con la nascita di An aprì le porte del partito a uomini che provenivano da esperienze diverse dalla nostra e che ne fece un movimento inclusivo e plurale; dalle belle esperienze dei nostri Ministri e Sottosegretari che fecero conoscere ed apprezzare le loro doti di uomini di destra in giro per il mondo, alla legge Bossi - Fini in tema di immigrazione.
Anche il rifiuto di un’alleanza con Marine Le Pen, a posteriori, dobbiamo riconoscere che fu un'intuizione giusta.
Poi Giorgia Meloni.
Fu sempre Fini a volerla subito vice Presidente della Camera quando eletta per la prima volta a Montecitorio, e successivamente Ministro della Gioventù nel Governo Berlusconi.
Evidentemente – quando era ancora un leader lucido – aveva intravisto in quella giovane donna minuta e determinata, doti nascoste che ne avrebbero fatto un leader.
E così è stato.
Oggi, che i sondaggi danno a Fratelli d’Italia un consenso che mai prima la destra politica aveva raggiunto, occorre fare alcune riflessioni.
La Meloni, esattamente come Fini nel 1993, quattro anni fa si è candidata Sindaco di Roma ottenendo un successo personale senza precedenti e che le hanno garantito una visibilità davvero eccezionale.
Alla vigilia delle europee dello scorso anno (anche se senza un congresso come avvenne per An a Fiuggi) Giorgia Meloni abbandona la linea del partito chiuso ed apre a personalità diverse da quelle vicine alla destra tradizionale; arriva la forzista Elisabetta Gardini, democristiani di lungo corso come Raffaele Fitto e i romani Ciocchetti ed Antoniozzi, in precedenza aveva aderito i grillino Walter Rizzetto, e anche una bella pattuglia di ex An che folgorati da Angelino Alfano se ne erano andati addirittura con l’NCD
Anche noi – comprendendo che in quell’occasione si giocava la partita della vita, quella del 4%, abbiamo aderito con convinzione dando una mano, nel limite del possibile, per raggiungere quell’obiettivo.
Poi, e torniamo al parallelo con il Fini “buono”, la collocazione di Fratelli d’Italia in Europa.
Anche qui, dopo una fase di “innamoramento” con il Front National (oggi Rassemblement National) di Marine Le Pen, l'iscrizione al Gruppo ECR, che è la terza famiglia dopo quella Popolare e quella Socialista, denota un continuo allontanamento di FDI dai partiti estremi; con Le Pen in futuro non ci sarà più neppure un selfie, si accettano scommesse.
Oggi dunque per la Meloni – che registra il più alto indice di gradimento – paradossalmente è il momento più delicato, pieno di insidie.
E’ quello in cui si rischia di ”imbarcare” tutto ed il suo contrario, di montarsi la testa come accaduto al “Signore” di cui sopra, di farsi ammaliare dai potenti delle Cancellerie europee.
Se invece si rimarrà quel che si è non ce ne sarà per nessuno. 
In questi giorni sono venuti a mancare due grandi uomini della destra italiana, che qui vogliamo ricordare: Gian Franco Anedda e Giulio Maceratini, galantuomini d'altri tempi, politici appassionati ed avvocati dall'oratoria invidiabile, giganti rispetto a certi quaquaraquà che purtroppo popolano sempre più numerosi le nostre Istituzioni. 
Anche seguendo il loro esempio la destra diventerà sempre più grande ma soprattutto più credibile.


14.7.20


Nel mondo della carta stampata è davvero imbarazzante assistere allo schieramento di “plotoni d’esecuzione” asserviti agli interessi degli editori di riferimento. Di conseguenza l’Italia è fanalino di coda in Europa quanto a libertà di stampa

CONFLITTO DI INTERESSI
LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE



Alla fine, paradossalmente, il più serio è stato Silvio Berlusconi che ha ceduto il controllo del gruppo. Ma anche Urbano Cairo, che è sempre distante dalle beghe di basso rango e che soprattutto non usa la sua forza mediatica per interessi propri  



di Roberto Buonasorte

Doveva servire per “ammazzare” Silvio Berlusconi, la battaglia condotta dalla sinistra sul conflitto di interessi.
Dopo oltre un quarto di secolo dalla discesa in campo del Cavaliere, egli è più vivo che mai – addirittura determinante nello scacchiere politico, almeno stando a quanto scriveva Pagnoncelli sul Corriere qualche giorno fa, se si dovesse tornare al voto con il sistema proporzionale – mentre gli odiatori seriali (ieri il PDS di Occhetto, oggi i grillini) verranno seppelliti dagli eventi: I-NE-VI-TA-BIL-MEN-TE! Come è giusto che sia.
Quello della libera informazione, terza, indipendente, pulita, è un obiettivo - forse un sogno - che ogni democrazia avanzata dovrebbe perseguire, uno tra i più importanti, di quelli da mettere in cima nella scala delle priorità.
Quello italiano, invece, sembra uno Stato più vicino ai regimi sudamericani; infatti finché avremo editori con un enorme conflitto di interessi e che dunque schierano veri e propri “plotoni d'esecuzione” utilizzati per “intimorire”, “ricattare”, “fare pressioni” finalizzati a difendere i propri interessi economici, non si avrà mai un’informazione di livello e degna di questo nome.
Non è un caso se la prestigiosa associazione internazionale Reportèrs Sands Frontiers (a difesa dei giornalisti di tutto il mondo) colloca il nostro Paese al 41esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa; in testa ci sono i Paesi nord europei, dalla Norvegia alla Finlandia, dalla Danimarca alla Svezia. Meglio di noi – pensate – c’è il Ghana, il Sudafrica, il Botswana.
Un tempo se un politico si interessava ad una pratica per dare una mano ad un povero cristo che aveva perso il lavoro o era rimasto improvvisamente orfano, veniva ringraziato, ossequiato, rispettato.
Oggi con Di Maio, Toninelli, Fraccaro e Bonafede al potere, hanno introdotto il reato (ritenuto pericolosissimo...) di "traffico illecito di influenze", tradotto: un elettore disperato mi chiama per chiedere lumi sull'anziana madre che da tre giorni sosta su una barella del pronto soccorso senza che le abbiano fatto nulla, chiamo l'ospedale, la persona che mi risponde (magari non proprio della mia parte politica) si sente pressata, mi denuncia appunto per "traffico illecito di influenze" e se condannato mi becco  pure l'interdizione dai pubblici uffici. Insomma, chiudo con la politica per una telefonata...
Se poi però un editore di giornali, che magari ha interessi nel mondo dell'edilizia e che dunque ha bisogno di avere buoni rapporti con il Comune per avere le concessioni e con la Regione che approva le varianti di piano regolatore o convoca le Conferenze dei servizi, usa il suo quotidiano, sia esso nazionale o locale, per "condizionare" la politica, allora va tutto bene.
Mi approvi in tempi rapidi la concessione? Articoloni ed interviste con tanto di foto sorridente del politico di turno; Sollevo invece qualche dubbio di legittimità sulla tua richiesta? Voglio meglio approfondire la pratica? Convoco gli uffici per assicurarmi che sia tutto a posto? L'editore ordina di assoldare il cecchino, e giù articoli, inchieste sulla vita privata, del politico, di sua moglie, figli, nipoti, cognati. Un inferno...
Per non parlare poi di chi, magari fregiandosi del titolo di giornalista professionista di lungo corso, approfittando dei nuovi mezzi di "informazione" che volano sulla rete come siti e blog, usa - con il ghigno tipico di chi crede di essere intoccabile - i nuovi strumenti con la stessa spregiudicatezza degli editori, di cui al comma precedente.
Insomma, carissimi amici, si stava meglio quando si stava peggio.
Fortunatamente, però, in questo quadro abbastanza desolante emerge una figura sconosciuta ai più, che abbiamo avuto modo già di conoscere tempo fa in un "ritratto" proprio su questo nostro blog: Urbano Cairo, editore tra l'altro de La7 e Corriere, che spicca per riservatezza, grandi capacità imprenditoriali e soprattutto non fa né il costruttore né si occupa di politica.
Ce ne vorrebbero una decina di Cairo in Italia, e allora sicuramente  Reportèrs Sands Frontiers ci metterebbe tra i primi posti in quella famosa classifica mondiale sulla libertà di stampa, che invece ci vede fanalino di coda dopo il Sudafrica, come già detto. Ma corre l'obbligo di ricordare che lì hanno avuto un gigante della storia come Nelson Mandela,  mica Luigi Di Maio...