IL SUCCESSO DELLA MELONI
E LE INSIDIE DA EVITARE
di Roberto Buonasorte
Molti pensano che la morte politica - ma se vogliamo anche umana
– di colui che per anni è stato il leader più amato dagli italiani, sia giunta
con lo scandalo della famosa casa di Montecarlo.
In realtà il declino di Gianfranco Fini, e con esso quello di
Alleanza nazionale, era iniziato già da prima, da quando cioè si era messo in
testa di voler piacere alla curva avversaria; ed ecco dunque il continuo
apprezzamento per la magistratura (che contemporaneamente però “bombardava” un
giorno sì e l’altro pure “l’alleato” Silvio Berlusconi.
Poi la presa di posizione, nel 2005, sui quesiti referendari
ed in particolare quello sulla procreazione assistita.
Capiva, Fini, di essersi indebolito e dunque accettò di
entrare nel partito unico del PDL trattando, ed ottenendo, un numero di seggi
parlamentari ben più ampio di quelli che avrebbe portato a casa se si fosse
presentato al cospetto degli elettori con il simbolo di An. Opportunismo?
Intuito? Spregiudicatezza? Un po’ di tutto, normale in politica, non ci
scandalizziamo, siamo uomini di mondo.
Poi certo arrivò Montecarlo, la creazione di Futuro e
Libertà, l’alleanza con Mario Monti, i soldi di Corallo Re delle slot machine.
E fu la fine. Confinato a vita privata - come è giusto che sia - tra processi penali e guai di
altra natura.
Ma fino al 2005 era stata un’altra storia: dagli esordi
davanti al grande pubblico con la candidatura a Sindaco di Roma, alla svolta di
Fiuggi, che con la nascita di An aprì le porte del partito a uomini che
provenivano da esperienze diverse dalla nostra e che ne fece un movimento
inclusivo e plurale; dalle belle esperienze dei nostri Ministri e
Sottosegretari che fecero conoscere ed apprezzare le loro doti di uomini di
destra in giro per il mondo, alla legge Bossi - Fini in tema di immigrazione.
Anche il rifiuto di un’alleanza con Marine Le Pen, a
posteriori, dobbiamo riconoscere che fu un'intuizione giusta.
Poi Giorgia Meloni.
Fu sempre Fini a volerla subito vice Presidente della Camera
quando eletta per la prima volta a Montecitorio, e successivamente Ministro
della Gioventù nel Governo Berlusconi.
Evidentemente – quando era ancora un leader lucido – aveva intravisto
in quella giovane donna minuta e determinata, doti nascoste che ne avrebbero
fatto un leader.
E così è stato.
Oggi, che i sondaggi danno a Fratelli d’Italia un consenso
che mai prima la destra politica aveva raggiunto, occorre fare alcune riflessioni.
La Meloni, esattamente come Fini nel 1993, quattro anni fa si
è candidata Sindaco di Roma ottenendo un successo personale senza precedenti e
che le hanno garantito una visibilità davvero eccezionale.
Alla vigilia delle europee dello scorso anno (anche se senza
un congresso come avvenne per An a Fiuggi) Giorgia Meloni abbandona la linea
del partito chiuso ed apre a personalità diverse da quelle vicine alla destra
tradizionale; arriva la forzista Elisabetta Gardini, democristiani di lungo
corso come Raffaele Fitto e i romani Ciocchetti ed Antoniozzi, in precedenza
aveva aderito i grillino Walter Rizzetto, e anche una bella pattuglia di ex
An che folgorati da Angelino Alfano se ne erano andati addirittura con l’NCD…
Anche noi – comprendendo che in quell’occasione si giocava la
partita della vita, quella del 4%, abbiamo aderito con convinzione dando una mano, nel limite del
possibile, per raggiungere quell’obiettivo.
Poi, e torniamo al parallelo con il Fini “buono”, la
collocazione di Fratelli d’Italia in Europa.
Anche qui, dopo una fase di “innamoramento” con il Front
National (oggi Rassemblement National) di Marine Le Pen, l'iscrizione al
Gruppo ECR, che è la terza famiglia dopo quella Popolare e quella Socialista, denota
un continuo allontanamento di FDI dai partiti estremi; con Le Pen in futuro non ci sarà più neppure un selfie, si accettano scommesse.
Oggi dunque per la Meloni – che registra il più alto indice
di gradimento – paradossalmente è il momento più delicato, pieno di insidie.
E’ quello in cui si rischia di ”imbarcare” tutto ed il suo
contrario, di montarsi la testa come accaduto al “Signore” di cui sopra, di
farsi ammaliare dai potenti delle Cancellerie europee.
Se invece si rimarrà quel che si è non ce ne sarà per
nessuno.
In questi giorni sono venuti a mancare due grandi uomini della destra italiana, che qui vogliamo ricordare: Gian Franco Anedda e Giulio Maceratini, galantuomini d'altri tempi, politici appassionati ed avvocati dall'oratoria invidiabile, giganti rispetto a certi quaquaraquà che purtroppo popolano sempre più numerosi le nostre Istituzioni.
Anche seguendo il loro esempio la destra diventerà sempre più grande ma soprattutto più credibile.