27.7.20



IL SUCCESSO DELLA MELONI

E LE INSIDIE DA EVITARE


di Roberto Buonasorte 


Molti pensano che la morte politica - ma se vogliamo anche umana – di colui che per anni è stato il leader più amato dagli italiani, sia giunta con lo scandalo della famosa casa di Montecarlo.
In realtà il declino di Gianfranco Fini, e con esso quello di Alleanza nazionale, era iniziato già da prima, da quando cioè si era messo in testa di voler piacere alla curva avversaria; ed ecco dunque il continuo apprezzamento per la magistratura (che contemporaneamente però “bombardava” un giorno sì e l’altro pure “l’alleato” Silvio Berlusconi.
Poi la presa di posizione, nel 2005, sui quesiti referendari ed in particolare quello sulla procreazione assistita.
Capiva, Fini, di essersi indebolito e dunque accettò di entrare nel partito unico del PDL trattando, ed ottenendo, un numero di seggi parlamentari ben più ampio di quelli che avrebbe portato a casa se si fosse presentato al cospetto degli elettori con il simbolo di An. Opportunismo? Intuito? Spregiudicatezza? Un po’ di tutto, normale in politica, non ci scandalizziamo, siamo uomini di mondo.
Poi certo arrivò Montecarlo, la creazione di Futuro e Libertà, l’alleanza con Mario Monti, i soldi di Corallo Re delle slot machine.
E fu la fine. Confinato a vita privata - come è giusto che sia -  tra processi penali e guai di altra natura.
Ma fino al 2005 era stata un’altra storia: dagli esordi davanti al grande pubblico con la candidatura a Sindaco di Roma, alla svolta di Fiuggi, che con la nascita di An aprì le porte del partito a uomini che provenivano da esperienze diverse dalla nostra e che ne fece un movimento inclusivo e plurale; dalle belle esperienze dei nostri Ministri e Sottosegretari che fecero conoscere ed apprezzare le loro doti di uomini di destra in giro per il mondo, alla legge Bossi - Fini in tema di immigrazione.
Anche il rifiuto di un’alleanza con Marine Le Pen, a posteriori, dobbiamo riconoscere che fu un'intuizione giusta.
Poi Giorgia Meloni.
Fu sempre Fini a volerla subito vice Presidente della Camera quando eletta per la prima volta a Montecitorio, e successivamente Ministro della Gioventù nel Governo Berlusconi.
Evidentemente – quando era ancora un leader lucido – aveva intravisto in quella giovane donna minuta e determinata, doti nascoste che ne avrebbero fatto un leader.
E così è stato.
Oggi, che i sondaggi danno a Fratelli d’Italia un consenso che mai prima la destra politica aveva raggiunto, occorre fare alcune riflessioni.
La Meloni, esattamente come Fini nel 1993, quattro anni fa si è candidata Sindaco di Roma ottenendo un successo personale senza precedenti e che le hanno garantito una visibilità davvero eccezionale.
Alla vigilia delle europee dello scorso anno (anche se senza un congresso come avvenne per An a Fiuggi) Giorgia Meloni abbandona la linea del partito chiuso ed apre a personalità diverse da quelle vicine alla destra tradizionale; arriva la forzista Elisabetta Gardini, democristiani di lungo corso come Raffaele Fitto e i romani Ciocchetti ed Antoniozzi, in precedenza aveva aderito i grillino Walter Rizzetto, e anche una bella pattuglia di ex An che folgorati da Angelino Alfano se ne erano andati addirittura con l’NCD
Anche noi – comprendendo che in quell’occasione si giocava la partita della vita, quella del 4%, abbiamo aderito con convinzione dando una mano, nel limite del possibile, per raggiungere quell’obiettivo.
Poi, e torniamo al parallelo con il Fini “buono”, la collocazione di Fratelli d’Italia in Europa.
Anche qui, dopo una fase di “innamoramento” con il Front National (oggi Rassemblement National) di Marine Le Pen, l'iscrizione al Gruppo ECR, che è la terza famiglia dopo quella Popolare e quella Socialista, denota un continuo allontanamento di FDI dai partiti estremi; con Le Pen in futuro non ci sarà più neppure un selfie, si accettano scommesse.
Oggi dunque per la Meloni – che registra il più alto indice di gradimento – paradossalmente è il momento più delicato, pieno di insidie.
E’ quello in cui si rischia di ”imbarcare” tutto ed il suo contrario, di montarsi la testa come accaduto al “Signore” di cui sopra, di farsi ammaliare dai potenti delle Cancellerie europee.
Se invece si rimarrà quel che si è non ce ne sarà per nessuno. 
In questi giorni sono venuti a mancare due grandi uomini della destra italiana, che qui vogliamo ricordare: Gian Franco Anedda e Giulio Maceratini, galantuomini d'altri tempi, politici appassionati ed avvocati dall'oratoria invidiabile, giganti rispetto a certi quaquaraquà che purtroppo popolano sempre più numerosi le nostre Istituzioni. 
Anche seguendo il loro esempio la destra diventerà sempre più grande ma soprattutto più credibile.


14.7.20


Nel mondo della carta stampata è davvero imbarazzante assistere allo schieramento di “plotoni d’esecuzione” asserviti agli interessi degli editori di riferimento. Di conseguenza l’Italia è fanalino di coda in Europa quanto a libertà di stampa

CONFLITTO DI INTERESSI
LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE



Alla fine, paradossalmente, il più serio è stato Silvio Berlusconi che ha ceduto il controllo del gruppo. Ma anche Urbano Cairo, che è sempre distante dalle beghe di basso rango e che soprattutto non usa la sua forza mediatica per interessi propri  



di Roberto Buonasorte

Doveva servire per “ammazzare” Silvio Berlusconi, la battaglia condotta dalla sinistra sul conflitto di interessi.
Dopo oltre un quarto di secolo dalla discesa in campo del Cavaliere, egli è più vivo che mai – addirittura determinante nello scacchiere politico, almeno stando a quanto scriveva Pagnoncelli sul Corriere qualche giorno fa, se si dovesse tornare al voto con il sistema proporzionale – mentre gli odiatori seriali (ieri il PDS di Occhetto, oggi i grillini) verranno seppelliti dagli eventi: I-NE-VI-TA-BIL-MEN-TE! Come è giusto che sia.
Quello della libera informazione, terza, indipendente, pulita, è un obiettivo - forse un sogno - che ogni democrazia avanzata dovrebbe perseguire, uno tra i più importanti, di quelli da mettere in cima nella scala delle priorità.
Quello italiano, invece, sembra uno Stato più vicino ai regimi sudamericani; infatti finché avremo editori con un enorme conflitto di interessi e che dunque schierano veri e propri “plotoni d'esecuzione” utilizzati per “intimorire”, “ricattare”, “fare pressioni” finalizzati a difendere i propri interessi economici, non si avrà mai un’informazione di livello e degna di questo nome.
Non è un caso se la prestigiosa associazione internazionale Reportèrs Sands Frontiers (a difesa dei giornalisti di tutto il mondo) colloca il nostro Paese al 41esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa; in testa ci sono i Paesi nord europei, dalla Norvegia alla Finlandia, dalla Danimarca alla Svezia. Meglio di noi – pensate – c’è il Ghana, il Sudafrica, il Botswana.
Un tempo se un politico si interessava ad una pratica per dare una mano ad un povero cristo che aveva perso il lavoro o era rimasto improvvisamente orfano, veniva ringraziato, ossequiato, rispettato.
Oggi con Di Maio, Toninelli, Fraccaro e Bonafede al potere, hanno introdotto il reato (ritenuto pericolosissimo...) di "traffico illecito di influenze", tradotto: un elettore disperato mi chiama per chiedere lumi sull'anziana madre che da tre giorni sosta su una barella del pronto soccorso senza che le abbiano fatto nulla, chiamo l'ospedale, la persona che mi risponde (magari non proprio della mia parte politica) si sente pressata, mi denuncia appunto per "traffico illecito di influenze" e se condannato mi becco  pure l'interdizione dai pubblici uffici. Insomma, chiudo con la politica per una telefonata...
Se poi però un editore di giornali, che magari ha interessi nel mondo dell'edilizia e che dunque ha bisogno di avere buoni rapporti con il Comune per avere le concessioni e con la Regione che approva le varianti di piano regolatore o convoca le Conferenze dei servizi, usa il suo quotidiano, sia esso nazionale o locale, per "condizionare" la politica, allora va tutto bene.
Mi approvi in tempi rapidi la concessione? Articoloni ed interviste con tanto di foto sorridente del politico di turno; Sollevo invece qualche dubbio di legittimità sulla tua richiesta? Voglio meglio approfondire la pratica? Convoco gli uffici per assicurarmi che sia tutto a posto? L'editore ordina di assoldare il cecchino, e giù articoli, inchieste sulla vita privata, del politico, di sua moglie, figli, nipoti, cognati. Un inferno...
Per non parlare poi di chi, magari fregiandosi del titolo di giornalista professionista di lungo corso, approfittando dei nuovi mezzi di "informazione" che volano sulla rete come siti e blog, usa - con il ghigno tipico di chi crede di essere intoccabile - i nuovi strumenti con la stessa spregiudicatezza degli editori, di cui al comma precedente.
Insomma, carissimi amici, si stava meglio quando si stava peggio.
Fortunatamente, però, in questo quadro abbastanza desolante emerge una figura sconosciuta ai più, che abbiamo avuto modo già di conoscere tempo fa in un "ritratto" proprio su questo nostro blog: Urbano Cairo, editore tra l'altro de La7 e Corriere, che spicca per riservatezza, grandi capacità imprenditoriali e soprattutto non fa né il costruttore né si occupa di politica.
Ce ne vorrebbero una decina di Cairo in Italia, e allora sicuramente  Reportèrs Sands Frontiers ci metterebbe tra i primi posti in quella famosa classifica mondiale sulla libertà di stampa, che invece ci vede fanalino di coda dopo il Sudafrica, come già detto. Ma corre l'obbligo di ricordare che lì hanno avuto un gigante della storia come Nelson Mandela,  mica Luigi Di Maio...

9.7.20


LE MILLE CAPRIOLE DI SALVINI


di Roberto Buonasorte

Professionista della politica, eletto giovanissimo consigliere comunale di Milano, Matteo Salvini non è più uscito dal Palazzo anzi, dai Palazzi, considerato che dopo quelli di Palazzo Marino ha calpestato anche i lussuosi pavimenti di Bruxelles, Montecitorio, Viminale, ed oggi quelli del Senato.
Dopo lo scandalo sulla gestione dei fondi della Lega di Bossi e del tesoriere Belsito, i vecchi volponi padani, da Maroni a Giorgetti, volendo dare un’immagine della Lega ripulita e ringiovanita pensarono di mettere quel ragazzotto apparentemente impacciato, innocuo, e dai modi anche un po’ goffi se vogliamo, con un orecchino (che loro pensavano l’avesse al naso…) ben in vista sull’orecchio sinistro.

Passa poco tempo e Matteo li fotte tutti

Passa poco tempo e Matteo li fotte tutti, giusto il tempo di organizzare il cerchio magico e il gioco è fatto. Già, i cerchi magici…
I cerchi magici sono stati la “tomba” di tutti i Capi (si badi bene, Capi non Leader) dei vari partiti o movimenti; per questo modo di gestire il partito si è sempre criticato Berlusconi, ma non si può sottacere il fatto che anche Fini, Di Pietro, Bossi, Renzi, abbiano agito allo stesso modo se non addirittura peggio: il Cavaliere, infatti, non ha mai nascosto la sua vocazione padronale nella gestione del “suo” partito (che infatti finanziava con risorse proprie) i personaggi di cui sopra, invece, pur agendo allo stesso modo, all’esterno tentavano di dare un’immagine ammantata di democrazia e partecipazione, capacità di ascolto e condivisione nelle scelte; nulla di più falso, infatti abbiamo visto che fine hanno fatto o faranno da qui a poco quelli che ci sono rimasti.

D.C. e P.C.I. mai hanno commesso quell'errore

Non a caso i grandi partiti del passato (D.C. e P.C.I.) sono sopravvissuti a lungo e con un grande consenso proprio perché concepivano la vita interna fatta di grandi dibattiti, confronti, approfondimenti; mai le minoranze interne venivano epurate, anzi esse venivano considerate come delle risorse a completamento di una visione plurale.
Salvini poi, l’uomo dalle mille capriole, completato il cerchio magico, sbarazzatosi di Bossi, Maroni, Tosi, sostituiti dai Centinaio, i Fedriga, i Fontana, è passato da “Roma ladrona” e “napoletani puzzolenti” a “prima gli italiani”.

La fregatura che ci ha rifilato nel 2018

Si presenta nel 2018 in coalizione con Forza Italia e Fratelli d’Italia, si elegge nei collegi uninominali i suoi parlamentari grazie anche ai voti degli “alleati” e poi – con la stessa spregiudicatezza con cui ha fatto fuori Maroni – fotte Berlusconi e la Meloni e va a fare il governo con Di Maio, Bonafede e Toninelli
Poi c’è stato il Papeete, e tutti abbiamo visto come è andata a finire.
Ogni giorno Salvini annuncia la spallata, sbraita, continua a collezionare selfie, postare foto mentre prende il caffè (seguite da una profondissima frase degna del grande statista: “Buongiorno Amici ed Amiche”), oppure mentre addenta una fetta di anguria al grido di “mangia italiano!”. Per inquadrare il personaggio potremmo cambiare il testo di una vecchia canzone che recitava “parole, parole, parole, soltanto parole” con “foto, foto, foto, soltanto foto” ed il gioco è fatto.

Mai un concetto profondo

Mai un concetto profondo, un’analisi seria; un tempo avremmo scritto tutto chiacchiere e distintivo, oggi diremmo tutto selfie e slogan.
Oltre alle tante capriole politiche c’è anche quella del look: via l’odiato orecchino e via le divise da poliziotto o guardia penitenziaria (dopo il pestaggio che ha portato alla morte dell’afroamericano George Floyd ucciso da un poliziotto a Minneapolis e le proteste di Atlanta, meglio mettersi in giacca e cravatta…).
Via anche la barba folta che lo rende troppo truce, meglio corta e ben curata, via la felpa, un bel paio d’occhiali con montatura color miele e dunque a basso impatto cromatico.
Insomma un’immagine quieta e più rassicurante, ma nonostante tutto da agosto dello scorso anno – da quando cioè voleva buttar giù il Governo a Camere chiuse – i sondaggi lo danno in costante discesa, in caduta libera.
Ora ci aspettano le regionali di autunno (sempre che non s’inventino l’ennesimo rinvio magari con la scusa di qualche nuovo focolaio…) e dopo la botta in Emilia presa con la Borgonzoni, Salvini ci riprova in Toscana con la Ceccardi.

Candidati con un bel paracadute

Candidati con un bel paracadute (tante volte dovesse andar male non si rimane a spasso, anzi…) la Borgonzoni dopo cinque minuti dalla sconfitta si è dimessa da Consigliere regionale per restarsene a Roma, in Senato; in caso di sconfitta (si accettano scommesse) anche la Ceccardi opterà per rimanere a Bruxelles, anziché a Firenze, a meno che – come avevamo suggerito di fare alla Borgonzoni – non prenda il solenne impegno che anche in caso di sconfitta rimanga a guidare l’opposizione in regione. 
Sarebbe una bella mossa, e le darebbe qualche possibilità in più in una sfida che si annuncia molto ardua.