30.10.19


TERREMOTO:
NEL LAZIO PASSA LA LINEA PIROZZI


Unanimità ieri alla Pisana
sulla Mozione che chiede la divisione del cratere
e la nomina di un Commissario
con poteri in deroga, esattamente come fatto per Genova
L’emozione, la gioia in sala e il supporto convinto di Fratelli d’Italia


di Roberto Buonasorte

Sui contenuti della Mozione abbiamo già scritto ieri, dunque oggi vorremmo raccontarvi più dei retroscena, delle emozioni, della soddisfazione di Pirozzi e del suo staff che per settimane ha lavorato alla stesura del documento poi approdato in Aula. 
In realtà oltre alla Mozione è stato presentato anche un emendamento contenente dei punti ben precisi, una sorta di integrazione da apportare al Decreto approvato in Consiglio dei Ministri, emendamento sottoscritto anche da Ghera di Fratelli d’Italia che in modo convinto ha supportato l’azione di Pirozzi in Aula.
L’acquario – così viene chiamato il luogo riservato al pubblico quando c’è seduta di Consiglio – era particolarmente affollato, se si pensa ad un martedì pomeriggio…
Alcuni amici sono giunti persino da Amatrice, ma poi da Roma, Rieti, una delegazione del Frusinate, da Sutri, da Viterbo, dalla provincia di Roma.
“Anche i dettagli organizzativi hanno un senso” dice chi di manifestazioni cortei e congressi ne ha organizzati tantissimi, e allora quelle magliette bianche con su scritto “CENTRO ITALIA COME GENOVA” indossate da giovani ed anziani provenienti da ogni parte della regione, hanno assunto un significato particolare: ancora una volta un popolo trasversale e senza alcun interesse personale - se non quello di far sentire la sua vicinanza – si è stretto intorno a Sergio Pirozzi ma idealmente anche ad Amatrice, Accumoli, Arquata, Visso, Ussita
Ad un certo punto il dibattito stava prendendo una piega non bella, sembrava quasi che il governo regionale volesse rimandare, prender tempo…
E allora prende la parola Giancarlo Righini, e a seguire Maselli, la discussione si incanala nuovamente sulla giusta via. Riprende la parola Pirozzi, alza la voce ogni tanto interrotta da un nodo alla gola, e poi lo sfogo finale: “sono tre anni! Non – ce – la – fa - ccio – più!!!”.
L’acquario "esplode", un lungo applauso liberatorio che riecheggia sino ai lontani corridoi della Pisana, Sergio è stremato; Chiara Colosimo è la più carina, scende dallo scranno per prendergli un bicchiere d’acqua; quando si dice i gesti... Quei gesti,  e quegli occhi lucidi che significano molto ma soprattutto ti ripagano di mille infamate subite.
Poi, per chi è rimasto fino alla fine, striscione e foto di gruppo fuori l’ingresso della Pisana.
Ieri è stata una bella giornata, ma dobbiamo essere consapevoli che siamo solo all’inizio; seguirà la richiesta di audizione presso la Commissione Ambiente della Camera, e poi ancora in giro per l’Italia per far conoscere la Legge Pirozzi sulla prevenzione.
Con Sergio sempre in prima linea (e mai in prima fila) che a febbraio è stato invitato in Giappone e che prossimamente volerà persino in Canada, sempre per tenere alta la tensione ed accesi i riflettori su quei luoghi massacrati, ma che con noi trovano il duro, perché come cantano le curve delle squadre di calcio che ci sono vicine, “la gente come noi non molla mai”.

29.10.19


OGGI IN CONSIGLIO REGIONALE
SI DISCUTE LA MOZIONE DI PIROZZI
SUL CRATERE DEL TERREMOTO



di Roberto Buonasorte

Verrà discussa e messa in votazione oggi pomeriggio la Mozione che Sergio Pirozzi –Presidente della XII Commissione della Regione Lazio che tratta materie come prevenzione, erosione costiera, protezione civile… - ha depositato presso gli uffici competenti del Consiglio.
Già nel dicembre scorso l’ex Sindaco di Amatrice, oggi Responsabile nazionale “Emergenze e prevenzione grandi rischi” di Fratelli d’Italia, è riuscito a far approvare, con voto unanime dell’Aula, una legge, la numero 12/2018, dal titolo molto significativo: “Disposizioni in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico. Ulteriori disposizioni per la semplificazione e l’accelerazione degli interventi di ricostruzione delle aree colpite dagli eventi sismici del 2016 e successivi”. Per la prima volta infatti, ed è l’unica legge in tal senso approvata in Italia, si interviene con misure di prevenzione e con contributi fino al 30% in tutti i Comuni a “Rischio sismico 1” che nel Lazio sono 43. Già da qualche giorno è pubblicato sul BURL (il Bollettino Regionale) il Bando per la concessione dei contributi ai soggetti proprietari di abitazione principale ubicati nei Comuni classificati nella zona sismica 1, per la realizzazione di interventi di adeguamento sismico.

Pirozzi sin dal suo insediamento in Regione – ma a dire il vero già nei giorni immediatamente successivi alla tragedia dell’agosto del 2016 – si è sempre battuto per fare cose concrete affinché il tema della prevenzione entrasse come materia prioritaria nell’agenda della politica e in quella delle istituzioni.
Approvata la legge nel Lazio, Pirozzi punta a far approvare anche nelle altre Regioni provvedimenti simili, non solo: stesso lavoro è stato appena completato affinché il tema della prevenzione sismica diventi oggetto di provvedimenti anche a livello europeo istituendo un apposito fondo rivolto soprattutto a quei Paesi come la GreciaCroaziaPortogalloSpagna ecc.. che sono quelli maggiormente esposti.
Poi torniamo al dramma della ricostruzione nel Centro Italia che è pressoché inesistente. E dunque veniamo alla Mozione Pirozzi di oggi pomeriggio:
Sosteniamo da tempo che se è tutto al palo lo si deve alle lentezze burocratiche e al fatto che i Governi che si sono succeduti non hanno voluto dare ascolto a Pirozzi che da tre anni si va sgolando per far capire che il cratere va differenziato tra i Comuni che hanno avuto la distruzione e gli altri che hanno subito danni lievi.
Nel primo caso dice Pirozzi – esattamente come avvenuto per il Ponte Morandi di Genova – va nominato un Commissario che abbia poteri con deroga e che gli consenta di saltare tutti quei passaggi fatti di mille ostacoli, e dunque si possa partire con la ricostruzione in tempi celeri; se invece si continua ad avere un cratere composto da tutti i Comuni mettendoli insieme senza tenere conto di una reale scala di priorità, allora significa che non interessa niente a nessuno se a distanza di tre anni la ricostruzione privata è ferma al 4% e quella pubblica addirittura all'1%...
Speriamo dunque che oggi, proprio dal Lazio, arrivi un segnale concreto che possa ridare speranza ai cittadini.

Chi veramente vuole il bene di queste terre martoriate si deve schierare con Pirozzi nel chiedere agli azionisti di maggioranza di questo Governo ConteZingarettiDi MaioRenzi e Bersani, di cambiare registro, di nominare un Commissario con poteri in deroga per i Comuni che hanno avuto la distruzione. E soprattutto basta slogan e passerelle, perché quella gente non ne può più. Intanto è alle porte il quarto inverno consecutivo e vivere ad AmatriceAccumoliArquataVissoUssita non è come vivere a Roma, ai Castelli romani o sulle rive del litorale, lì arriva la neve e il termometro scende fino a -20°, perché durante l’anno – come dicono gli anziani da quelle parti – fanno nove mesi di freddo e tre di fresco…

27.10.19


Meravigliose Marche



“Lonely Planet”, la prestigiosa casa editrice australiana che diffonde guide turistiche in tutto il pianeta, la indicano come seconda regione più bella del mondo

di Anna Beatrice d’Assergi

La seconda regione più bella del mondo, per “Lonely Planet, è nel centro Italia. Proprio quel meraviglioso e sfortunato centro Italia devastato dal terremoto del 2016, proprio quello spicchio del Belpaese da ricostruire al più presto. Lonely Planet, stilando la classifica internazionale “Best in Travel 2020 Top ten Regions” ha decretato che il secondo posto al mondo spetta alle Marche, all’operosa regione nel cuore d’Italia, che offre mare e montagna, splendide coste e strepitose vette, e che è anche un esempio di come si può vivere bene in piccoli centri. “Dopo decenni in un ruolo un po’ defilato – scrive la guida -, le Marche sono finalmente pronte a mettersi sotto i riflettori. Nel 2020, infatti, la regione salirà alla ribalta, quando Urbino, una delle sue città più suggestive, guiderà le celebrazioni per il 500° anniversario della morte del grande pittore rinascimentale Raffaello”, e poi elenca le meraviglie che le Marche celano, dalle rovine romane alle architetture gotiche, dai castelli medievali ai palazzi rinascimentali, dalle montagne alle coste dell’Adriatico ai festival gastronomici. Già, perché questa bella regione possiede anche un tesoro che potremmo definire “immateriale”, composto di una serie di tradizioni, usi, costumi, ricette, sapori e profumi, preziose specificità di un territorio che da sempre dà all’Italia il meglio di sé.  Regione operosa, dicevamo: i marchigiani sono grandi lavoratori, ordinati, disciplinati. Prima delle Marche, solo la Via della Seta, in Asia Centrale. Tutto il resto viene dopo: la lista delle mete turistiche è affascinante, va dal Giappone agli Usa, dall’Australia alla Cina, dalla Spagna alla Croazia, dalla Foresta Amazzonica al Brasile. Tutti luoghi straordinari, ma tutti non hanno retto il confronto con le verdi Marche. E allora qualche considerazione va fatta. Primo: le Marche sono agevolmente raggiungibili da tutta Italia con poche ore di viaggio in auto. Viaggiare per il mondo è qualcosa di meraviglioso, se cominciassimo da casa nostra non sarebbe affatto male. Secondo: se una guida internazionale mette al secondo posto della sua top ten la regione Marche, significa che questi luoghi meritano attenzione quantomeno adeguata allo scranno che ad essi è stato assegnato. E dunque: ricostruire le zone terremotate, prima di tutto, ma anche dotare i tanti luoghi straordinari del Belpaese di infrastrutture tali da essere raggiungibili il più facilmente possibile. Vi sono angoli di territorio italiano che conservano meraviglie difficilmente rinvenibili in gran parte del mondo, che restano però piccole isole dove arrivare è difficilissimo. Non si deve deturpare il Paese con superstrade improbabili, per carità, nemmeno però si può pensare di poter vivere – nel terzo millennio - in un Paese di sentieri adatti ad essere percorsi, in molti casi, solo da somari e carretti.

25.10.19

Borghi del Lazio
Labro



   
Oggi andiamo nel borgo reatino
famoso per i tartufi e la cacciagione,
ma anche per l’incantevole posizione
che domina il lago di Piediluco


di Roberto Buonasorte

Con i suoi 350 abitanti e quella vista incantevole sul lago di Piediluco, Labro è un Borgo che va assolutamente visitato. A poco più di cento chilometri da Roma è arroccato a forma di ventaglio e situato a circa 600 metri di altitudine. Esso si trova in provincia di Rieti ma in realtà confina con la regione Umbria, tanto che il sottostante lago risulta essere in provincia di Terni.
E’stato insignito, Labro, addirittura della prestigiosa Bandiera arancione che è il marchio di qualità turistico ambientale del Touring Club Italiano, con la seguente motivazione: "Da segnalare il centro storico tipico, raccolto e ben curato, ricco di antiche case e nobili palazzi ristrutturati. Buona è anche la manutenzione e la pulizia delle strade e la valorizzazione di spazi verdi e dell’arredo urbano.” 



Stando ai racconti leggendari, Labro sarebbe stato fondato nel luogo dove il signorotto dell'epoca riuscì ad uccidere il suo primo cinghiale in una battuta di caccia, e questo spiegherebbe la presenza dell'animale nello stemma del comune.
Le sue origini risalgono tra il IX e il X secolo e Aldobrandino de Nobili ne fu il primo Signore investito dal Re d’Italia Ottone nel 956.
La sua posizione strategica fu per molto tempo teatro di scontri per il controllo del confine tra i domini di Rieti e Spoleto.
Successivamente appartenne alla città di Rieti, prima di divenire feudo della famiglia Nobili e successivamente dei Vitelleschi.
Nel secondo dopoguerra, come tantissimi altri piccoli centri delle aree interne, anche Labro subisce quello spopolamento che caratterizza quell’epoca e che mette in serio pericolo la sua sopravvivenza.
Da qui nasce l’iniziativa degli eredi della famiglia Nobili del recupero dell’antico Borgo; un progetto – curato dall’architetto fiammingo Ivan Van Mossevelde - che inizia nel 1968 e che finisce con il recupero di tutti gli edifici e che ancora oggi si possono apprezzare in tutta la loro rara bellezza.

Il suo affaccio poi, che domina il Lago di Piediluco, è l’ultima immagine all’interno di una cornice davvero unica.
Il lago di Piediluco, grazie alle particolari condizioni climatiche e all’assenza di venti, è divenuto, oltre che splendido luogo turistico, anche campo di allenamento dei più grandi campioni di canottaggio, tra i quali gli indimenticabili Fratelli Abbagnale, due ori olimpici e sette volte campioni del mondo. 



Tra le prelibatezze che si possono assaporare a tavola segnaliamo la magnifica carne di cacciagione, il sugo di cinghiale e l’ottimo tartufo di cui la zona è davvero ricca.

Non mancano poi intorno a Labro le occasioni di fare dello sport, che oltre alla pesca sportiva, va dal canottaggio al trekking, dall’equitazione al kayak sulle rapide del fiume Nera.
Le principali manifestazioni che si organizzano sono a Luglio il “Labro Festival”, ad Agosto “Calici sotto le stelle” e “Labro con gusto e con arte” tra ottobre e novembre.
Tante buone ragioni, dunque, per raggiungere questo centro davvero incantevole e posizionato in modo da essere raggiunto non solo da Roma, ma anche dalle vicine Rieti, Terni Spoleto.


22.10.19



PARLAMENTO,

ECCO IL VERO TAGLIO DA FARE



di Roberto Buonasorte

Allontanate gli elettori dalle urne? Allora si taglino i Parlamentari, ma usando un criterio, non come fatto recentemente che sa più di vendetta, odio, populismo becero.
Dall’aprile del 1948- si tennero allora le prime elezioni dopo la guerra – alle ultime del marzo 2018, registriamo un drastico crollo di votanti; nelle prime vi fu un’affluenza (prendiamo come esempio la Camera dei Deputati che come è noto è maggiormente rappresentativa del corpo elettorale) del 92,23%, nelle ultime il 72,94%.
20% in meno, per non parlare delle percentuali alle regionali o alle europee che nel primo caso (prendendo come esempio la regione Lazio) ha toccato il 66% nel 2018 e alle europee dello scorso maggio appena il 56% degli italiani si è recato alle urne.
Dal 1948 al 1976 l’affluenza alle urne ha oscillato tra il 92 e il 93%, ma dalle elezioni del giugno del 1979 (tranne un paio di casi in leggerissima controtendenza) c’è stata una lenta e inesorabile flessione,
Praticamente gli elettori sono così indignati che per circa un terzo non si riconosce in alcun partito.
Eppure l’offerta è ampia: si va dall’estrema sinistra all’estrema destra passando per i vari partiti e partitini moderati, fino ai populisti…
Non convince più nemmeno il partito antisistema che fino ad un po’ di tempo fa era incarnato dal Movimento 5 Stelle.
Morale: la politica nel suo complesso non riesce ad attrarre gli elettori? Allora si assegnino i Parlamentari in base alla percentuale di elettori che votano.
Esempio, i Deputati da eleggere sono 630, ma se vota l’80% io assegno l’80% di seggi cioè 504; vota il 70? Applico un taglio del 30% e ne assegno 441, e via di questo passo.
Una sorta di premio di produttività, potremmo chiamarlo, se invece gli elettori aumentano.
E’ l’unico modo questo che indurrebbe la politica a comportarsi in modo tale da riconquistare la fiducia dei cittadini e ad avere un comportamento lineare, coerente, onesto e che duri nel tempo.
Altrimenti avremmo sempre e solo le curve, le tifoserie, il proprio orto da difendere.
Per questo non ci convince il taglio appena approvato dal Parlamento, voluto dai grillini più per odio, per mettere una bandierina, tra l’altro assolutamente insensata; zac, via il 30%! E perché proprio il 30 e non il 20 o il 40?
Perché è propaganda, è odio verso tutto quello che c’era prima del loro arrivo, e che sta provocando solo disastri; si pensi all’idea di far votare i sedicenni o l’abolizione del diritto di voto agli anziani.
Ma a quanto pare la luna di miele tra gli italiani e il Movimento 5 Stelle è già finita, e a mollarli sono sia i giovani che gli anziani.
Con la politica tradizionale che ha commesso l’errore madornale di andargli dietro, a questi incapaci.   

20.10.19


Quel telefonino che cancella
Identità, Storia, Cultura…



di Anna Beatrice d’Assergi

Sia benvenuta la tecnologia quando serve, quando è ben usata e quando non fa danni. E dunque sia benvenuta quando è utile al lavoro, a socializzare, a risolvere problemi.
Un po’ meno quando la tecnologia porta a perdere i punti di riferimento, che sono quelli sociali, umani, ma anche culturali e più nello specifico letterari. Se “questo” diventa “qst”, se “chiamami” diventa “kiamami”, se “perché” diventa “xche”, se “non” diventa “nn”, se “scusa” diventa “sks”, siamo davvero alla fine.
La lingua italiana è stata a lungo vituperata, in ogni modo. A cominciare dagli inglesismi, che da qualche decennio imperversano nella quotidianità degli italiani, utilizzati molto spesso quando davvero non ve n’è alcun bisogno. Ma quello che succede da quando esistono i telefonini di ultima generazione è qualcosa di diverso e di più subdolo. Gli inglesismi, infatti, vanno a sostituirsi ai termini italiani. Le parole italiane vengono messe da parte, insomma, e così facendo in qualche modo vengono anche tenute al riparo da storpiature di ogni genere.
Questi obbrobri di parole storpiate, invece, minano la lingua dall’interno, scompongono il valore, il senso, la preziosità dei termini, dei meravigliosi termini che compongono il vocabolario italiano. Un tesoro vero e proprio.
Facciamo un paragone fantasioso: chi sostituisce gli inglesismi ai termini italiani corrisponderebbe a chi surroga a una collana d’oro, una di bigiotteria di quart’ordine. Chi invece storpia le parole della nostra bella lingua, corrisponderebbe a chi quella collana d’oro la smembra in mille pezzi e ne getta una buona parte nella spazzatura.
Senza voler essere bigotti e senza esagerare, sarebbe bello spiegare ai nostri figli che ci sono cose che si possono cambiare, e cose che sarebbe opportuno rispettare ad ogni costo. La deriva, altrimenti, sarà definitiva e rimediare diverrà impossibile.

18.10.19



DOPO RIMBORSOPOLI
TUTTI IN PARLAMENTO



di Roberto Buonasorte

Dunque, come detto nell’articolo precedente, nel 2013 si interrompe bruscamente la IX Legislatura nel Lazio.
La Polverini – con il casino combinato a seguito delle sue dimissioni – trova il buon rifugio in Parlamento grazie a quella generosità riconosciuta di Silvio Berlusconi.
A sinistra invece c’è il panico.
Tra il Gruppo consiliare che finisce quasi tutto indagato, e i loro componenti dell’Ufficio di Presidenza che non sono da meno, non sanno che pesci pigliare e per loro si prefigura lo spettro di tornare a lavorare.
Nicola Zingaretti – che intanto viene dirottato da candidato Sindaco di Roma a candidato Presidente della Regione – non vuole saperne di avere in lista i consiglieri uscenti; ma tranquilli, ci pensa Bersani a sistemare tutto.
Il segretario del PD subisce forti pressioni dai “Signori delle tessere” e da quelli che hanno un certo radicamento territoriale e concede loro di formare le liste per Camera e Senato attraverso le primarie tra gli iscritti.
Per gli “uomini forti” del PD è un gioco da ragazzi passare dalla Pisana a Montecitorio o Palazzo Madama: Astorre, Lucherini, Moscardelli, Scalia… Tutti in Parlamento, con tanto di indennità e immunità.
Vince il centrosinistra in quella tornata, con un’ampia maggioranza alla Camera ma senza avere i numeri al Senato, si trova dunque una mediazione per Palazzo Chigi sul nome di Enrico Letta con tutto ciò che ne consegue e che sappiamo.
Subito dopo – a giugno dello stesso anno – è la volta dell’ex Capogruppo del PD alla Pisana ai tempi di Fiorito, Esterino Montino, che candidano addirittura a Sindaco nella importante e strategica città di Fiumicino. Va al ballottaggio con 10 punti percentuali sotto al primo turno – infatti è in vantaggio con il 46% Mauro Gonnelli del centrodestra contro il 36 di Montino – ma il buon Esterino, con una rimonta incredibile diventa Sindaco con appena mille voti di distacco. “Rimborsolpoli” è già dimenticata, gli italiani identificano ed attribuiscono lo scandalo quasi tutto con gli uomini del centrodestra mentre in realtà i reati più evidenti e più numerosi si consumano proprio a sinistra. Ma così vanno le cose…
Furono i Radicali, per primi, a sollevare i maggiori dubbi sull’uso dei fondi a disposizione dei Gruppi e sono proprio loro, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo i protagonisti di quei mesi.
Certo, si è esagerato, ma va pur detto che norme e Regolamenti avevano maglie talmente ampie che praticamente era consentito quasi tutto anche se – come si dice – a tutto c’è un limite.
Perché un conto è l’uso dei fondi per le attività che si svolgono realmente, al di là del costo che può essere più o meno elevato, altra cosa è finanziare eventi del tutto inesistenti o affidare incarichi a consulenti che non fanno assolutamente nulla, e in quest’ultimo caso c’è stato anche il pronunciamento della Corte dei Conti che è intervenuta emettendo condanne durissime.
Il punto è tutto qua: c’è chi con i fondi ci ha fatto politica (che era assolutamente consentito) e chi invece li ha usati per cose finte, pagare fatture false, finanziare progetti ed associazioni che erano veri solo sulla carta.
Poi, per fortuna, si è intervenuti abolendo qualsiasi forma di finanziamento ai Gruppi consiliari e la festa è finita. Ma non i processi e le indagini, che invece continuano ad andare avanti.





16.10.19


IL POSTO DELLA RAGGI?
LO OFFRIRANNO A MARCO DAMILANO



di Roberto Buonasorte

Ne ha fatta di strada Marco Damilano da quando, giovanissimo, inizia la professione collaborando con il settimanale di Azione Cattolica “Segno 7.
Oggi è il Direttore de L’Espresso dopo esserne stato il vice, e prima ancora semplice giornalista. È stato nominato il 25 ottobre di due anni fa, proprio nel giorno del suo compleanno.
Dunque cattolico, uomo di centro che guarda a sinistra, tanto da trovarlo negli anni novanta vicino a La Rete di Leoluca Orlando e Nando Dalla Chiesa.
In quegli anni, siamo alla vigilia di Tangentopoli, va detto che la voglia di giustizialismo che iniziava a prendere corpo tra i cittadini riempiva le piazze, ed era molto apprezzata anche dalla destra, tanto che poi nel 1993 l’allora Movimento Sociale Italiano fece il pieno dei voti.
Gianfranco Fini perse per poco contro Francesco Rutelli a Roma, idem per Alessandra Mussolini a Napoli contro Antonio Bassolino, ma i missini conquistarono importanti capoluoghi come Latina, Benevento, Chieti.
Ma torniamo a Damilano, che da qualche anno è diventato anche un noto volto televisivo.
Ospite fisso de La7 di Urbano Cairo - vedete come diventa sempre più centrale, come abbiamo avuto modo di scrivere quando abbiamo fatto il suo “ritratto”, l’editore televisivo e A.d. del Corriere - Damilano viene anche chiamato a “Piazza Pulita” e tanti altri talk televisivi, tanto da diventare, come detto, uno dei volti più noti della politica italiana.
Ha un aspetto ed un modo di fare che trasmette tranquillità, induce ad ascoltare e a non cambiare canale, anche se molto duro nei giudizi riesce comunque ad attrarre il telespettatore pur non inseguendo la moda del momento fatta solo di insulti ed urla.
In un momento di grandi incertezze e paure, di tutto hanno bisogno gli italiani tranne che di personaggi che buttano continuamente la benzina sul fuoco.
E può essere identificato, Damilano, anche come un personaggio un po’ civico.
Ecco, “civico”, la parola magica che sta al centro del dibattito tra PD e Cinque Stelle quando si parla di candidature.
Lo si è fatto in Umbria con la candidatura dell’imprenditore Bianconi, lo si farà – se regge l’alleanza – in molte altre parti.
E vuoi vedere che chiederanno proprio al Direttore de L’Espresso di scendere in campo come Sindaco di Roma al posto di Virginia Raggi?
In fondo civico lo è, cattolico pure, e andrebbe bene sia al PD che ai grillini.
Il Centrodestra invece, dopo i disastri combinati dalla Raggi, ha una grande opportunità, ma come la storia recente ci ha insegnato (vedi le ultime regionali del Lazio) molto dipenderà dal candidato; perché se sbaglia “cavallo” molti suoi elettori potrebbero essere indotti a votare il Damilano di turno…


14.10.19


 LA VERA STORIA DELLO SCANDALO 
DEI RIMBORSI
NELLA REGIONE LAZIO


Quello emerso dalle indagini, ancora in corso, probabilmente è solo una parte delle ruberie che si sono consumate nel tempo
Intanto gli unici a pagare sono stati Fiorito e Maruccio
Per gli altri, tra chi implora “Santa prescrizione” e chi ha fatto carriera in Parlamento, è comunque una festa
E fino a poco fa quella stanza con i sigilli della Guardia di Finanza…


di Roberto Buonasorte

Abbiamo deciso di riprendere una vecchia questione che a molti fa comodo rimanga nel dimenticatoio.
La nostra non vuole essere un’inchiesta, ma una riflessione a puntate, senza nascondersi dietro pseudonimi e soprattutto utile a far conoscere ai più i lati fino ad ora oscuri di questa vicenda.
E di certo la nostra riflessione non è stimolata da anonimi mandanti.
Nel 2012, quando scoppia il cosiddetto “caso Fiorito” che porterà alle dimissioni di Renata Polverini, in realtà si consuma solo l’ultimo atto di quella guerra che nel centrodestra romano va avanti da anni e che, se ci è concesso, dura ancora oggi.
Da una parte ci sono gli ex An, dall’altra gli ex Forza Italia. Da una parte Fiorito, cresciuto nella corrente della “Destra sociale” di Alemanno e Storace; dall’altra gli uomini che fanno riferimento ad Antonio Tajani: il ciociaro conterraneo di Fiorito Mario Abbruzzese e il viterbese Francesco Battistoni, già sindaco di Proceno e oggi Senatore azzurro.
Anche Fiorito prima di diventare consigliere regionale è stato sindaco della “sua” Anagni; eletto e rieletto. “Francone”: così lo chiamano ancora oggi affettuosamente i suoi paesani per via di quella stazza e quel comportamento spesso debordante che ne hanno sempre caratterizzato il “personaggio”. Anche per questo, riteniamo, è diventato un fenomeno mediatico che ha influenzato non poco anche il percorso dell’inchiesta stessa.
Oggi, come abbiamo detto, iniziamo con l’inquadrare il contesto politico del momento; del ruolo degli uomini ombra si parlerà quando l’approfondimento sull’uso dei fondi entrerà nel vivo.
Franco Fiorito è contemporaneamente Capogruppo del PdL e potente Presidente della Commissione Bilancio, la sede dove vengono prese le decisioni più importanti sulla formazione dei capitoli di spesa.
Gran parte dei Consiglieri del Centrodestra – per via della mancata presentazione della lista del PdL a Roma – è di “primo pelo”, vengono infatti eletti tutti neofiti della Lista Polverini, adottati dai colonnelli orfani del PdL. Per Francone è un gioco da ragazzi fare il “gioco delle tre carte” con i nuovi Consiglieri, e così tra rimborsi e fatture gonfiate, feste in maschera e finte associazioni culturali, sono tutti intenti ad inzuppare nella generosa tazza dorata della Pisana.
Ma la guerra sotterranea, come già detto, tra Abbruzzese e Battistoni da una parte, e Fiorito dall’altra, continua senza sosta, fino al giorno in cui, incredibilmente, uomini della ex Forza Italia vengono in possesso dell’estratto conto bancario del Gruppo del PdL; e viene giù il mondo.
I riflettori si accendono su tutti i rimborsi fatti ai Consiglieri, ma a quel punto Fiorito reagisce e chiama in ballo l’acerrimo nemico Mario Abbruzzese. “Se pensate che l’unico ad aver commesso reati sia stato io – dice a giudici e giornalisti – allora andate a vedere quello che combinano in Ufficio di Presidenza…”. E’ avvelenato, Fiorito, e fa riferimento ad un fantomatico “castelletto” appositamente creato in Ufficio di Presidenza appunto, dove i partiti, attraverso finte Associazioni avrebbero fatto confluire fiumi di danaro.
Accuse pesanti, quelle di Francone, che infatti fanno scattare le indagini della Guardia di Finanza. Fino a qualche settimana fa alla Pisana entrando non dall’ingresso  principale, ma da quello dell’Ufficio di Presidenza, appena superati i tornelli, guardando a sinistra, si vedeva una porta nera nascosta da una enorme pianta verde; non è che stava lì per via della conversione di Zingaretti alla “Green new deal”, tanto di moda in questi tempi. Stava lì per una questione di pudore: serviva a nascondere gli imbarazzanti sigilli posti dalla Guardia di Finanza. In quel luogo si nascondevano tutti i segreti di cui parla Fiorito

(1-continua)
  
  



13.10.19


Il flop di Franceschini:

scacco alla Francia, l’Uomo di Vitruvio resta a casa



di Anna Beatrice d’Assergi


Dario Franceschini, al suo secondo giro di walzer da Ministro dei Beni Culturali, non ha ancora capito niente. Confonde i ruoli, si arroga diritti che non gli appartengono, si sostituisce alle figure deputate a decidere se un opera d’arte può essere trasferita o meno, si piega alla Francia e promette ciò che non può dare. Parliamo dell’Uomo di Vitruvio, l’uomo perfetto di Leonardo da Vinci.
C’è un pasticcere di Cremona che è più rispettoso del Ministro: mentre Franceschini firma per un trasferimento che non può avvenire, il più saggio pasticcere cremonese Mirco Della Vecchia, per onorare il grande Maestro, riproduce l’Uomo Vitruviano con il torrone: un’opera di alta pasticceria di due metri di altezza e 2,5 metri di diametro. Può essere un modo dolce per accogliere il popolo francese ad una mostra del gusto e dell’arte italiana, dice: un modo simpatico per consolare i francesi del mancato arrivo dell'opera nei loro confini nazionali.
Dario Franceschini, che di mestiere fa il Ministro dei Beni Culturali, dovrebbe forse chiedersi perché quel foglio, che è un importantissimo pezzo della storia mondiale, viene esposto solo in certe occasioni, raramente, ed invece è solitamente conservato in un caveau. Dovrebbe anche, forse, studiare le norme che disciplinano le vicende legate alle opere d’arte. Dovrebbe in buona sostanza limitarsi a dare un indirizzo politico, affidandosi poi all’esperienza e alla formazione dei tecnici - che di mestiere non fanno i ministri ma conoscono bene i guai che le opere d’arte possono subire in caso di spostamento, e forse sono le persone più idonee a valutare l’opportunità di trasferire un bene o meno - per decidere poi con oculatezza se vale la pena rischiare la distruzione (perché di questo si tratta) di un bene tanto prezioso per fargli fare un viaggio a Parigi, dove i francesi - per celebrare Leonardo - potrebbero anche “accontentarsi” di ammirare la Gioconda.

Due passaggi che impediscono - è evidente - non solo a Dario Franceschini, ma a chiunque, di disporre delle opere come si vuole. Si trattava, in parole povere, di un accordo bilaterale stilato tra i due ministri – quello italiano e quello francese - che avevano serenamente concordato il tutto calandolo dall’alto, e solo dopo - pare - il ministro Franceschini si sarebbe preoccupato di acquisire pareri. Un procedimento che non è esattamente quello canonico, quello giusto è esattamente al rovescio: sono i musei che si sentono tra loro e poi, una volta trovato l’eventuale accordo sulla base della fattibilità tecnica del trasferimento – che dunque garantisca in ogni modo il mantenimento dell’integrità dell’opera (che essa cioè non sia a rischio) - viene fatta la richiesta di autorizzazione al Ministero. O, semmai, il Ministero propone e, sentiti gli operatori deputati alla salvaguardia delle opere, dispone.
Nel caso dell’Uomo di Vitruvio il rischio che il foglio si rompa è altissimo: è recente la sua esposizione proprio alle Gallerie dell’Accademia in occasione della mostra “Leonardo da Vinci. L’uomo modello del mondo”. Quel foglio, che ha lesioni passanti che costituiscono un grave rischio di rottura, dopo l’esposizione deve restare al sicuro, e probabilmente sarà visibile ben poco nei prossimi anni: questo, a tutela della sua conservazione e integrità. Se venisse data in prestito al Louvre, chissà per quanto tempo si renderebbe indispensabile evitarne l’esposizione. Perché l’Italia e le Gallerie dell’Accademia dovrebbero privarsi di mostrare quell’opera per un numero imprecisato di anni? E allora valga ancora e sempre la regola: “Siano gli uomini, a spostarsi, non le opere d’arte”. Vale anche per Franceschini e per il suo omologo francese Nyssen.

11.10.19



Borghi del Lazio

Civita di Bagnoregio


 Oggi conosciamo uno dei borghi
più belli del viterbese
“la città che muore” è stato ribattezzato
quel gigante dai piedi d’argilla
abitato da meno di 10 persone…


di Roberto Buonasorte

Se vai a visitare Civita di Bagnoregio lascia il telefonino in macchina e goditi una giornata indimenticabile. Scarpe comode e mettiti in cammino, indietro nel tempo, ad apprezzare questo suggestivo borgo sito nel viterbese che si erge su uno sperone di tufo; per raggiungerlo c’è un solo modo, camminando su un ponte costruito a metà degli anni sessanta del secolo scorso.
Furono gli Etruschi, 2500 anni fa a fondarlo ed oggi, abitato da poco meno di 4000 abitanti, rischia la sua sopravvivenza per via delle continue erosioni di due torrenti che l’accarezzano inesorabilmente.


Già gli Etruschi, e poi anche i Romani, realizzarono opere per bloccare l’azione erosiva, gli smottamenti, le frane e i terremoti che nel corso dei secoli hanno sempre colpito l’antico borgo, argillosa nella parte sottostante, tufacea in quella emergente; un gigante dai piedi d’argilla, potremmo definirla, Bagnoregio.
In virtù di tutte queste cause ormai viene chiamata “la Città che muore”.
Se si pensa che a fronte dei quasi 4000 abitanti, come abbiamo già detto, nel borgo vi abitano meno di 10 persone, è facilmente comprensibile del perché di quello che più che un soprannome appare come un grido disperato…
Posta a quasi 500 metri sopra il livello del mare e distante circa 130 chilometri da Roma, Civita occupa una zona davvero strategica.
Quando è estate, ad esempio, da Bagnoregio si raggiunge agevolmente il lago di Bolsena, ma poi a portata di mano abbiamo le Terme dei Papi o il Magnifico Duomo di Orvieto.


Il Patrono è San Bonaventura che si festeggia il 15 di luglio, mentre la chiesa più significativa è quella di San Donato eretta nel VII secolo nel cui interno viene custodito un Crocifisso del quattrocento di scuola fiamminga che ogni anno viene trasportato durante la processione del Cristo morto.
Si mangia bene, come d’altra parte in tutta la zona, prevalentemente carne di maiale; pancetta arrotolata e aromatizzata con spezie deliziose, ma anche ottime salsicce, del prosciutto invidiabile e porchetta, anche se il piatto davvero tipico del posto è la fettuccina condita con sugo di interiora di pollo.
Gli eventi più importanti che si svolgono durante l’anno a Bagnoregio sono sostanzialmente 4: a maggio c’è “Il fiore di maggio”, il “Palio della Tonna” che si svolge in due edizioni a giugno e settembre, donando un po’ di quella vivacità che quasi stride con la quiete in cui è quasi sospesa per il resto dell’anno; la “Sagra del cinghiale” a luglio e “CivitArte ad agosto”.


Si vive bene e si mangia meglio, a Bagnoregio, cibi magari accompagnati dal famoso vino prodotto nella vicina Montefiascone il cui nome, Est! Est!! Est!!!, gli venne attribuito dalla leggenda dopo il famoso viaggio, avvenuto nel 1111, di Enrico V di Germania. Diretto verso Roma, dove doveva ricevere da Papa Pasquale II la corona di Imperatore del Sacro Romano Impero, al seguito c'era anche il vescovo Johannes Defuk (grande intenditore di vini) e il suo coppiere Martino, che lo precedeva con il preciso incarico di fermarsi per le locande che incontrava affinché assaggiasse i vini  dargli il suo giudizio. Giunto a Montefiascone, sempre secondo la leggenda, il vino bevuto era talmente buon da fargli pronunciare non una volta bensì tre volte la parola "Est" seguita da uno poi due ed infine tre punti esclamativi. 
Insomma ve ne sono davvero tante e tante di buone ragioni per visitare questo luogo straordinario e misterioso, ricco di storia, bellezze naturali, aria pulita e cordialità.
E mi raccomando il telefonino, lascialo in macchina…




10.10.19


Ma Renata ci è andata

o ce l’hanno mandata?


di Roberto Buonasorte

Renata Polverini per come abbiamo imparato a conoscerla, non fa mai nulla per caso, e soprattutto nulla per niente.
Si è guadagnata sul campo la fama di dura, “una tosta” come si dice a Roma, e da figlia d’arte, la madre era sindacalista della Cisnal (così si chiamava il sindacato vicino al Movimento Sociale Italiano prima di trasformarsi nell’attuale UGL) iniziando da semplice impiegata, ne ha scalato i vertici fino a diventarne Segretario Generale.
Rimarrà impressa per sempre, a chi scrive, una frase che pronunciò ad una assemblea del sindacato; lei era stata appena eletta Presidente della Regione e presa dalla foga nel parlare ai suoi – e forse dimenticando per un attimo che c’eravamo anche alcuni di noi eletti consiglieri regionali – disse:” …e poi amici miei non dimentichiamo mai che noi siamo innanzitutto sindacalisti, e i sindacalisti trattano sempre, non te danno mai niente pe’ niente…” giù applausi, e ancora: “ perché il sindacalista tratta pure co' la moje o con il marito quando torna a casa la sera per stabilire cosa si prende dal frigo e cosa si mangia a tavola!” Momenti viene giù l’albergo, “Re-na-ta, Re-na-ta”.
Fu brava a farsi candidare alla Regione da Gianfranco Fini e fu ancora più gajarda quando, pur in assenza della lista del PdL a Roma, riuscì (riuscimmo) a vincere battendo la Bonino. Poi il disastro delle dimissioni – anche lì, dopo la solita trattativa, sia con il Quirinale che con il Viminale – fino a quando grazie ai buoni rapporti con Angelucci e con Denis Verdini (che in Forza Italia se la comandavano) gli venne garantito un posto blindato alla Camera. Minacciò anche un’altra volta le dimissioni, ma poi il Cavaliere le promise il ruolo di Responsabile del Dipartimento per le politiche del lavoro, la trattativa andò a buon fine e lei rimase.
La versione ufficiale che invece trapela in questi giorni (di trattativa) dopo che si è autosospesa da Forza Italia, è che lei “non si riconosce più nei valori che il partito rappresentava un tempo…”.
In realtà non è questione di valori; semplicemente il partito del Cavaliere, che oggi conta circa 160 Parlamentari, con il taglio appena approvato e la percentuale che gli attribuiscono i sondaggi che vanno dal 5 al 7%, di parlamentari (se addirittura dovesse passare il sistema proporzionale) ne eleggerebbe 35, massimo 40, tradotto: 120 uscenti vanno a casa.
Un disastro.
E manco a dire che la “Sora Renata” – come la chiamano con affetto chi ne apprezza la spontaneità – se ne torna al sindacato, perché nel frattempo l’UGL gliel’hanno sfilato, ha trasferito armi e bagagli sotto le insegne di Alberto da Giussano.
E dunque strizza l’occhio a Renzi.
Ma i più maligni e più avvezzi alle manovre di Palazzo – quelli che se ne intendono, a differenza nostra che invece preferiamo le analisi e gli approfondimenti – sostengono addirittura che i suoi avvicinamenti a Renzi siano stati consentiti con il placet del Cavaliere, la regia di Gianni Letta, i sussurri di Denis Verdini.
Proprio così, anche perché il Cavaliere – al netto degli accordi per le regionali – sul piano nazionale, con il Capitano, non ha chiuso affatto, e dunque si tiene le mani libere nel caso in cui 10/15 senatori grillini dovessero tramare per un ribaltone; Berlusconi correrebbe in soccorso.
Intanto è arrivata la Polverini, e al Senato, si dice, arriveranno altri. Quanti altri? E chi può dirlo...Perché questi di là non ci vanno per caso, ce li mandano…