22.6.21

Se anche un bravo editorialista qual è Renato Farina cade nell’errore di definire estremo il movimento politico guidato da Giorgia Meloni, vuol dire che c’è molto ancora da lavorare

MA NOI NON SIAMO

LA DESTRA - DESTRA



di Roberto Buonasorte

 

Due fatti accaduti nelle ultime 24 ore hanno suscitato la mia curiosità.

Primo: il consueto sondaggio del lunedì di SWG per il Tg de La7 condotto da Enrico Mentana e che vede ormai Fratelli d’Italia ad un solo decimale (20,5%) dalla vetta e dunque ormai prossimo a diventare (almeno nelle intenzioni di voto degli italiani) il primo partito.

Secondo: la lettura, stamane, dell’articolo a firma dell’editorialista Renato Farina, pubblicato sulla prima di Libero dal titolo “Occhio Giorgia, la destra – destra non sfonda”.

Considerazione, questa, fatta da Farina in un improbabile parallelismo con il partito di Marine Le Pen, all’indomani delle elezioni regionali francesi che, tranne nella regione Alpi-Provenza-Costa Azzurra, hanno evidenziato un grande flop per il partito di estrema destra.

Ora, se in merito alla costante crescita di Fratelli d’Italia nessuno di noi aveva mai avuto dubbi, sulla definizione di “destra-destra” c’è abbastanza da scrivere.

I fatti – quelli veri e non la propaganda – stanno a dimostrare non solo che il popolo italiano apprezza sempre più un partito che, scegliendo di rimanere all’opposizione, ha rinunciato a comode poltrone ministeriali, ma che è forse l’unico ad essere coerente, dote questa sempre più rara in politica.

Ma, al di là delle teorie, veniamo ai fatti pratici che smentiscono senza appello tutti coloro che vorrebbero dipingerci come estremi, brutti e cattivi.

L’ALLARGAMENTO AL CENTRO

Ben prima delle elezioni europee di due anni fa la Meloni aveva sentito la necessità di allargare il perimetro del partito (fino a quel momento ancorato su posizioni abbastanza radicali e apparentemente chiuso all’esterno), tant’è che molti si avvicinarono.

Sentimmo un po’ tutti la necessità – ma se ci consentite anche il dovere – di dare una mano in una sfida che era poi per la vita o la morte: si doveva superare lo sbarramento del 4%.

Entrammo insieme agli amici di Sergio Pirozzi (personalmente senza chiedere nulla in cambio se non coltivare la passione più grande, quella di continuare a fare politica, anche da semplice militante).

Entrarono i centristi di Raffaele Fitto, e così nel Lazio arrivarono Ciocchetti e Maselli, e poi tanti altri ritorni ad iniziare da due belle e rappresentative figure della destra romana e nazionale: Andrea Augello e Roberta Angelilli.

La prova fu ampiamente superata e da allora è stata un’ascesa inarrestabile.

LA COLLOCAZIONE IN EUROPA

Anche la scelta di abbracciare in Europa il Gruppo dei Conservatori e Riformisti si è rivelata assolutamente vincente, non solo perché rappresenta la terza famiglia - dopo quella dei Popolari e quella dei Socialisti – ma perché alla Meloni viene data addirittura la presidenza del partito, riconoscendo così alla leader di Fratelli d’Italia un ruolo fondamentale nello scacchiere europeo, tanto da avere eco fino ad oltre Oceano.

LA LOTTA ALL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

Anche sul tema della immigrazione clandestina l’approccio di Giorgia Meloni è profondamente diverso rispetto a quello che vorrebbero attribuirle.

Probabilmente per via di quella cultura antirazzista che è parte integrante del DNA politico della destra italiana (sin da giovani siamo cresciuti con la parola d’ordine “aiutiamoli a casa loro”), a fronte della indifferenza davanti a scene drammatiche di morti che affiorano in mezzo al mare, Fratelli d’Italia da tempo propone la soluzione più sensata, quella del blocco navale da attuare nelle zone di partenza di questi disperati, al fine di impedire ai troppi speculatori di approfittare delle disgrazie di popoli che fuggono dalla fame.

ALL’OPPOSIZIONE, MA DA PATRIOTI

Al di là della costante crescita, l’exploit di Fratelli d’Italia è iniziato all’indomani della nascita del governo Draghi.

Una lettura superficiale porterebbe a giustificare il fenomeno liquidandolo con un semplice “ovvio, è l’unico partito all’opposizione…” ma non è così.

In realtà con la decisione di intraprendere una “opposizione patriottica” – tradotto, appoggiamo per il bene dell’Italia i provvedimenti che riteniamo giusti, e ci opporremo con tutte le nostre forze rispetto a quelli che riteniamo dannosi per il Paese – la classe dirigente del partito non solo appare coerente, ma soprattutto non specula augurandosi il famoso “tanto peggio tanto meglio” anzi, è disponibile a dare una mano quando serve.

È racchiuso tutto in queste poche righe, il successo di Fratelli d’Italia, che ha saputo evitare ogni tentazione di “destra-destra” per ampliare la sua famiglia e mettere a disposizione degli italiani un’offerta politica semplicemente di destra: moderna, giovane, occidentale e a forte vocazione europeista; l’Europa dei popoli.

 

 

 

 

 

21.6.21

 

La riflessione

PARTITO UNICO 

E LEGGE ELETTORALE



di Roberto Buonasorte

 

Una cosa va riconosciuta a Silvio Berlusconi: la coerenza.

Il partito unico del centrodestra lo volle fortemente sin dalla competizione elettorale del 2008 quando Forza Italia era fortissima e viaggiava, nei sondaggi dell’epoca, a quasi il 30 per cento (mentre An veniva accreditata sotto al 10). e lo vuole oggi che Forza Italia non naviga certo in buone acque.

Fini, con l’accondiscendenza di tutti i “colonnelli” dell’epoca, accettò senza batter ciglio, trattò il 30 per cento dei seggi per i suoi nella quota maggioritaria e così anche le terze e quarte file del partito poterono ottenere l’agognato seggio in Parlamento.

Berlusconi Presidente, Angelino Alfano Segretario,  Denis Verdini ed Ignazio La Russa Coordinatori, questo il vertice del nuovo partito.

La Lega non ne volle sapere.

Oggi, a parti invertite, la Lega di Salvini spinge per il partito unico del centrodestra, la Meloni (giustamente) non ne vuol sentire neanche parlare.

Dice il Cavaliere che sogna un partito Repubblicano all’americana, per carità, ciascuno coltiva i sogni che vuole, ma per tradurli in realtà occorre fare i conti con le regole quotidiane della vita terrena; e qui entra in campo la legge elettorale, cioè la regola con cui si gioca la partita.

Avrebbe infatti ragione Berlusconi se in Italia vi fosse una legge elettorale super maggioritaria e senza quota proporzionale, in quel caso – pian piano – si potrebbe arrivare a quel bipolarismo (o addirittura bipartitismo) tipico delle democrazie anglosassoni che però hanno alle loro spalle una lunga tradizione in tal senso…

Nell’Italia di Bersani, D’Alema, Speranza, Fico e Di Maio invece, c’è chi addirittura immagina un ritorno al sistema proporzionale, quello degli anni novanta, quello con la scheda elettorale che conteneva trenta/quaranta simboli di partito.

Ecco dunque che l’odierna discussione sul partito unico del centrodestra, in assenza di chiarezza sulla legge elettorale, diventa solo propaganda, oppure - come commentano maliziosamente in questi giorni Toti e Brugnaro – è semplicemente uno strumento per consentire a Berlusconi di salvare qualche seggio in più.

Ultima riflessione: sai come ci prenderebbero in giro in Europa?

Direbbero: questi Italiani sempre i soliti, da loro fanno il partito unico e qui Strasburgo Fratelli d’Italia è nei Conservatori e Riformisti Europei di cui la Meloni è la Presidente, Berlusconi sta con la Merkel e Salvini addirittura con la Le Pen

Fate pace con voi stessi ci direbbero, accompagnato da qualche sorrisino appena gli volti le spalle…

20.6.21

 

NON RIFAREI MONTECARLO

Addirittura nel 2010, a proposito della famosa casa, un Ministro del PDL mi esortò a “non mollare!”…



di Roberto Buonasorte 

Qualche giorno fa, parlando con Marco Di Andrea, insieme al quale facemmo la battaglia per denunciare lo scandalo della famosa casa di Montecarlo, ci siamo chiesti se davvero ne sia valsa la pena.

E sì, perché a leggere certe affermazioni, a vedere certe foto, riavvolgere il nastro facendolo tornare indietro di undici anni per poi lasciarlo scorrere lentamente, si capiscono molte cose.

Come si ricorderà l'inchiesta prese il via grazie al lavoro svolto da due bravi cronisti: Gian Marco Chiocci che allora lavorava al Giornale e Giacomo Amadori che scriveva per Libero e Panorama. I due - avendo saputo che l'ingente eredità lasciata ad Alleanza nazionale dalla Contessa Colleoni fu possibile perché era stato il sottoscritto anni prima a presentarla a Fini - mi contattarono per conoscere i dettagli della questione.

Assieme a Di Andrea iniziammo a ricostruire la vicenda dell’eredità.

Militavamo ne La Destra all’epoca, e il partito era spaccato: da una parte la maggioranza (Storace in testa) che chiedeva a gran voce di “picchiare duro”, dall’altra i più “tiepidi” (Musumeci e il compianto Teodoro Buontempo).

Mettemmo insieme i documenti e si partì: era l’estate del 2010 e nelle piazze, sui giornali, nelle televisioni non si parlava d’altro.

Tra Natale e Capodanno del 2010 ero in vacanza a Courmayeur, ed è lì che incontrai un Ministro del PDL: furono proprio le sue parole a convincerci ancor di più ad andare avanti nella denuncia, infatti mi disse con tono deciso “non mollare!”.

La cosa che ci lasciava più di qualche dubbio invece era vedere che – a parte Berlusconi con la sua enorme forza mediatica – la quasi totalità del centrodestra (nonostante già fosse in atto la guerra di Fini che poi culminò con il famoso “che fai mi cacci?”) pareva scarsamente condividere la nostra battaglia; non arrivavano gesti di solidarietà (solo pochi e tiepidi segnali, per giunta rigorosamente in privato), non c’era un ringraziamento pubblico, una condivisione, un incoraggiamento.

Nulla, eravamo soli contro tutti.

Ci recammo persino nel Principato di Monaco per farci fare (a spese nostre) da uno tra i più importanti studi tecnici monegaschi, una perizia che accertasse il reale valore della famosa casa, affinché si dimostrasse nel processo che il bene era stato svenduto.

Sì, nel processo, perché nel frattempo Roberto e Marco - questi due pazzi - avevano denunciato e trascinato in tribunale l’allora potentissimo Signor Presidente della Camera, la terza carica dello Stato…

Eravamo talmente convinti di agire nel giusto che neppure il rischio di incorrere in qualche pesante ritorsione ci fece balenare l’idea di mollare.

La vicenda penale, tutti sappiamo come è andata a finire: Fini iscritto nel registro degli indagati al mattino, archiviato nel pomeriggio…

Anche il processo civile stava prendendo la stessa piega: il giudice già nella prima udienza obiettò alla nostra tesi secondo la quale con quella svendita non veniva onorata in pieno la volontà espressa nel testamento dalla Contessa Colleoni, si adombrava addirittura una condanna alle spese! Dopo il danno, rischiavamo pure la beffa!

Transammo chiudendo la pratica, e dicendo tra noi: Fini l’avrà pure scampata nei processi penale e civile, ma non la scamperà nel “processo politico”.

Poi leggi certe affermazioni, vedi certe foto e pensi: siamo stati proprio degli ingenui

Lo confesso, non rifarei Montecarlo.