14.5.20


LE OPERE UMANITARIE
NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
E LA SICUREZZA

di Robert Triozzi *

Come reduce di innumerevoli missioni con l’ONU e/o la mia ONG nei paesi in via di sviluppo nonché dei paesi in guerra dal 1993, compresi ben 22 paesi musulmani tra  l’Africa, il Medioriente, l’Asia e i Balcani, posso dire che più di qualsiasi altro rischio ciò che temevo era ed è di essere rapito. I due luoghi dove avevo più paura erano il Pachistan, nella zona controllata dai Talebani sui confini con l’Afganistan, e la zona sui confini tra l’Uganda e il Congo.
E’ una realtà molto attuale e succede spesso in tanti paesi, anche quelli esotici che sono delle mete turistiche. Capita più spesso spostandosi per strada ma anche presso dei domicili isolati privi di misure di prevenzione e protezione.
Bisogna capire in primis se c’è l’esigenza per delle opere umanitarie in un paese che è una zona a rischio a prescindere. Questo vale anche per delle mete “tranquille” di villeggiaturacome il Kenia, il Sudafrica, il Malawi, l’Egitto, le Filippine ecc.
Basta consultare il sito dell’Unità di Crisi del Ministero degli Affari esteri per avere un’idea dei rischi in tutti i paesi del mondo. Rischi di tipologia criminale, delle lotte armate e anche rischi sanitari. Infatti, una prassi che ogni italiano dovrebbe fare quando viaggia fuori dell’Europa è di iscriversi per essere registrato con la Farnesina in caso di problemi nel paese visitato.


La zona in Kenia dove operava la Romano è uno di questi luoghi. E’ considerato un paese “tranquillo”, ma fino a certo punto. E’ un’area soggetta a movimenti criminali nonché terroristici. In Kenia, come in TUTTA l’Africa, tranne forse la Namibia e Lesotho, c’è sempre un rischio per gli stranieri e soprattutto LE straniere. Questo vale il doppio quando ci si trova da soli in un ambiente lontano dalle mete turistiche.
Detto questo, al nobile desiderio di “aiutare l’umanità” e forse anche di “salvare il mondo” bisogna capire che si parte prima con la testa e puoi con il cuore.
Troppo spesso questi idealisti, ingenui e spesso ignoranti in merito alla situazione geopolitica, sono troppo vogliosi anche di abbracciare altre "culture" oltre ad aiutare la gente del posto.
Pensano che i consigli in merito alla sicurezza siano invadenti, restrittivi, esagerati o non necessari in quanto si considerano “cittadini del mondo e vogliono bene a tutti” e quindi indenni o immuni dai rischi alla loro incolumità!
Quindi partono con la prima organizzazione che passa senza fare dei compiti prima, sia sull’organizzazione alla quale si aggregano che sulla situazione politica e sanitaria del paese dove andranno a lavorare.
Una mia amica sui cinquant’anni aveva questa voglia di fare “la sua parte” per aiutare chi è meno fortunato. Mi ha fatto piacere sapere che voleva provare questa esperienza. Immaginavo che ci sarebbe andata in condizioni simili alle mie quando parto per una missione, ovvero partire preparato.
La sua meta era il Sudafrica. Un paese che conosco molto bene. E’ un paese dei safari e del turismo vinicolo, belle spiagge e grandi città moderne con grattacieli, centri commerciali e anche dei ghetti/favelas tra i peggiori e tra i più pericolosi al mondo. Il tasso di criminalità ha dei primati unici nel mondo. Si rischia di essere rapito e/o anche ucciso anche fermo ad un semaforo per essere derubato.
Lei non ha fatto i suoi compiti lasciandosi nelle “buone mani” di un’ONG. Ovviamente avrebbe avuto tutte le sue spese coperte e avrebbe ricevuto un piccolissimo stipendio. Ma non le interessavano i soldi. Voleva aiutare i poveri.

E’ partita subito per Johannesburg, pochi giorni dopo aver firmato tutti i documenti. Una volta arrivata è passata nella sede dell’organizzazione e poi nel suo alloggio. Era un venerdì. Il suo alloggio era in una casa appena fuori Alexandria, il più pericoloso di tutti i municipi segregati, chiamati “townships”. Il più famoso è Soweto.
L’appartamento era a piano terra e senza delle inferriate sulle finestre né una porta blindata. Non stava vicino ad altri appartenenti dell’ONG e non aveva un telefono che funzionava in Sudafrica. Effettivamente ha già ignorato tutte le prime regole di sicurezza riguardo la scelta di un alloggio.
La sua prima sera sono entrati dei giovani criminali. L’hanno malmenata e derubata di tutti i suoi beni compreso il suo passaporto. L’hanno legata ad una sedia e lì è rimasta fino a lunedì mattina quando ci si è chiesti perché non si fosse presentata a lavoro.
Subito è rientrata in patria e mi ha raccontato l’episodio e sono rimasto allibito per più motivi.
In primis non potevo credere che un’ONG che opera in una zona rischiosa non avrebbe preparato e formato in una maniera idonea il suo personale prima di partire. Ancora più incredulo ero per il fatto che una volta arrivata non c’era nessuna spiegazione in merito alle misure di sicurezza da prendere né la situazione di possibili rischi di alcun genere.
Dove voglio arrivare con questo aneddoto? In seguito ho scoperto che quasi tutte le ONG operano in questo modo, mettendo a rischio questi buoni samaritani altruisti.
Non vengono mai prese in considerazione né le misure di sicurezza né la situazione geopolitica delle zone in cui operano. Raramente, infatti quasi mai, un’ONG impiega un responsabile della sicurezza con esperienza nel terzo mondo o paesi in via di sviluppo post bellico che può guidare l’ONG e i suoi operatori per operare in sicurezza.
Il personale non è mai formato in un contesto idoneo quanto a sicurezza e misure di
prevenzione da seguire.
Raramente l’organizzazione o i suoi componenti si registrano presso le proprie sedi
diplomatiche.
A volte alcune ONG operano anche senza il consenso della nazione ospitante in cui si trovano, tutto allo sbaraglio.
Io, ingenuamente, prima di sentire del tormento subìto dalla mia mica, pensavo che prima di partire per una missione gli operatori umanitari fossero soggetti al corso di addestramento arduo ed impegnativo di due settimane massicce al quale sono sottoposto io stesso e che io esigo per i componenti della mia ONG, il Programma di Sviluppo per Vigili del Fuoco (FRDP).
Si comincia con le misure di sicurezza personale, come camminare per strada, attirando meno attenzione possibile - che spesso è impossibile se uno è l’unico bianco nel villaggio. Quindi a maggior ragione di stare sempre in allerta e di non abbassare mai la guardia. Poi di essere consapevole delle misure di sicurezza residenziali, che valgono per una tenda quanto per un appartamento, una villa o un albergo. Come riconoscere delle mine e degli ordigni e cosa fare trovandosi nelle loro vicinanze. Nozioni di pronto soccorso e dell’antincendio senza risorse idonee a disposizione. Come guidare un fuoristrada e fare opere di riparazione rudimentali.
Poi c’è una parte che riguarda il comportamento ai posti di blocco. Bisogna ricordare che i posti di blocco in questi paesi non sono sempre delle autorità legali ma anche dei terroristi o di terroristi travestiti da poliziotti o militari. Questo spesso è il punto di un rapimento.

Qui l’addestramento si focalizza su come prendere delle misure per dissuadere un eventuale rapimento e se rapito cosa fare e non fare. E’ una parte del corso che non è per tutti e potrebbe determinare se una persona può infatti partire per una missione in certi luoghi.
In un ambiente tranquillo e rilassante c’è “un’intrusione armata” e vengono presi in ostaggio tutti i presenti in uno scenario molto realistico. Gli allievi del corso sono bendati o incappucciati, legati, privati di tutti i loro beni – orologi, soldi, documenti e scarpe. Vengono trattati non certamente con i guanti bianchi e forzati a camminare senza sapere se si è da soli o ancora vicino ai compagni. E’ molto inquietante.
Quindi, alla fine del corso, uno ha già una mezza idea di cosa potrebbe succedere mentre sta salvando il mondo. Queste prassi, purtroppo, sono effettuate solo dalle organizzazioni dell’ONU, dell’UE, pochissime ONG e per i componenti delle organizzazioni di sviluppo appartenenti ad un Ministero degli Esteri, in Italia è la Cooperazione italiana – quindi un cooperante NON è un volontario che parte con un’ONG ma un dipendente ministeriale.
E non finisce con la formazione pre-partenza. In loco, quotidianamente, sono studiati i bollettini della sicurezza per determinare cosa si può fare o non fare quel giorno. Ogni movimento deve essere comunicato al responsabile della sicurezza ed autorizzato o negato e i movimenti sono sempre tracciati.
Tutte queste misure suindicate non sono prese dalla maggioranza delle ONG. Non è un gioco e purtroppo la stragrande maggioranza di queste persone partono senza un’idea alcuna di cosa comporta una missione del genere.
C’è da revisionare o in effetti determinare i criteri per un’ONG che abbia il fine di operare fuori i propri confini nazionali e occorre uno strettissimo controllo su chi gestisce queste ONG non riconosciute dall’ONU o enti simili.

*Comandante
Programma di Sviluppo per Vigili del Fuoco - FRDP
(Fire Rescue Development Program)

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