31.5.20


SCHMIDT: I MUSEI
RESTITUISCANO LE OPERE ALLE CHIESE



La presa di posizione del direttore degli Uffizi fa discutere, 
ma ha ragione lui...

di Anna Beatrice d'Assergi

"I musei statali compiano un atto di coraggio e restituiscano idipinti alle chiese per i quali furono originariamente creati". È il succo della dichiarazione del direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt, parole pronunciate in occasione della riapertura di Palazzo Pitti a Firenze. 
La dichiarazione di Schmidt ha suscitato una serie di reazioni: Vittorio Sgarbi ha sposato in pieno la battaglia e se ne è fatto subito portavoce convinto, dall'altra parte della barricata Tomaso Montanari, il quale sostiene che Schmidt avrebbe un conflitto di interessi perché, oltre ad essere alla guida degli Uffizi, è anche presidente del Fec, il Fondo Edifici di Culto, che detiene moltissime chiese italiane. 
Al di là degli incarichi di Schmidt, che è faccenda che ci interessa ben poco, di maggiore interesse è piuttosto la sua presa di posizione che finalmente pone sotto i riflettori una questione che merita una certa attenzione. 
Diversi sono gli aspetti, infatti, che emergono se si parla di opere d'arte e di musei: prima di tutto, c'è la questione della proprietà. Molte opere sono esposte nei musei, ma i musei non ne sono i proprietari: molte volte questi tesori appartengono alle chiese, tecnicamente alle Diocesi di appartenenza, antropologicamente e eticamente direi che appartengono alle rispettive comunità, a dirla tutta. In ogni caso ai territori, quelli in cui sono state realizzate, quelli per i quali esse hanno un valore che non è solo artistico ma anche affettivo, sono rappresentative della memoria dei luoghi e come tali vanno rispettate e considerate. 
Certo, c'è poi il tema della sicurezza: spesso i musei vengono pensati e realizzati anche per mettere le opere al sicuro da possibili furti, manomissioni, danneggiamenti. E qui, però, emerge una questione che attiene alla responsabilità dello Stato, per il tramite del Ministero delegato all'uopo: siano messi a disposizione dei luoghi (delle chiese, dei comuni, degli enti) strumenti e fondi per far fronte a questo grosso problema. Si dirà: lo Stato lo fa di già, proprio con i Musei. Sì, ma non basta. È un salto in avanti che l'Italia deve compiere, prima o poi. Lo faccia ora, con il Covid 19 ancora non sconfitto: può essere l'occasione per metterci le mani una volta per tutte.
I musei sono infatti una bella e importante risorsa per ogni Paese, ma chi di noi non ha avuto la sensazione, entrando in un museo, di osservare oggetti totalmente decontestualizzati? Io si, ogni volta, e sinceramente mi ha fatto sempre un po' rabbia. Avere un patrimonio artistico di queste proporzioni e proporlo in maniera decisamente sterile ai milioni di visitatori che ogni anno raggiungono il Belpaese, mi è sempre sembrato e mi sembra ancora uno spreco. 
Altro tema è quello del tanto decantato "museo diffuso": se ne parla da tempo ormai, credo sia tempo di passare dalle parole ai fatti. Proporre ai turisti itinerari culturali, invece che incastrarli ammassati in un museo, per quanto luogo affascinante per molti aspetti, è probabilmente la sfida di questo momento storico e sociale. Si spostino le persone, le opere rimangano dove devono stare, nel loro posto: dovrebbe essere questo il concetto base delle scelte future. Significherebbe rivoluzionare quello che è uno stato di fatto ormai da lungo tempo, ma ne vale sicuramente la pena. E l'Italia potrebbe dare l'esempio: dopo i mesi di chiusura totale, potrebbe essere un'occasione per far parlare ancora di noi. 
Ma cosa ci facciamo, poi, dei musei? Altra questione non indifferente: imponenti strutture, organizzate per accogliere le opere e per metterle in mostra, diventerebbero solo dei vuoti contenitori... ebbene, oggi la tecnologia fa miracoli, varrebbe la pena sfruttarli. Ricostruzioni di siti in 3D, ambientazioni di diverse epoche e culture, storytelling ma anche storydoing, perché no? Ecco, le strutture museali potrebbero diventare centri di diffusione di un universo nuovo e straordinario, in cui i visitatori non siano solo "osservatori", ma parte attiva di un viaggio affascinante nel tempo e nello spazio, con una valenza didattica ad ampio raggio che potrebbe costituire la svolta più interessante di questo terzo millennio che stenta un po' a caratterizzarsi come un'epoca nuova.
Ci vogliono i soldi. Sì, certo. Vogliamo investire in questo settore un bel po' di denaro, finalmente, o no? 
Le opere, tornando nelle chiese (ma anche nei comuni) di provenienza, consentirebbero ai luoghi di tornare a vivere, ad accogliere turisti e studiosi, l'Italia potrebbe diventare un grande, immenso museo diffuso: si arricchirebbe di spunti, di attenzione, tornerebbe la voglia di percorrerla in lungo e in largo, in sicurezza e senza assembramenti, che erano decisamente odiosi anche prima che il Coronavirus ci impedisse di metterli in atto. 
Il mondo è cambiato. Dopo questa esperienza fatta di quarantene e limitazioni della libertà di movimento, dobbiamo cambiare radicalmente non solo il nostro modo di vivere, ma anche il nostro modo di pensare e di vedere le cose. Dobbiamo tornare a vivere una vita più normale, più lenta, meno frenetica. Spostiamoci lungo lo Stivale, visitiamo i borghi: sapendo che in ciascun luogo possiamo trovare anche una o più opere d'arte, ci verrà voglia di visitare l'intera penisola: non dovremmo più fare file chilometriche, soffocare di caldo in mezzo alla ressa, attendere a lungo per vedere da vicino un quadro o un Crocefisso. 
Una scelta come quella suggerita da Schimdt significherebbe un cambio di passo in tutto. L'occasione oggi c'è. Saremmo dei folli a non percorrerla.

Nessun commento:

Posta un commento