24.11.19


Irpinia 1980


Trentanove anni fa la tragedia del terremoto: quasi tremila vittime in quei 90 secondi in cui la terra ha tremato
Le parole del Vescovo di Avellino: “Bisogna ricostruire la comunità”. Significa che l’Italia ha perso. Un’altra volta


di Anna Beatrice d’Assergi

“Bisogna ricostruire la comunità”: così su Repubblica di ieri il vescovo di Avellino monsignor Arturo Aiello, nel 39esimo anniversario del grande sisma dell’Irpinia. Fu una tragedia epocale, quasi tremila vittime, 90 secondi di terrore, di dolore, che l’Italia non può dimenticare. Il pensiero di ciascuno di noi, nelle scorse ore, è stato rivolto a quel popolo e a quel dramma, a quelle case crollate, a quelle chiese cadute, a quelle persone che in 90 secondi hanno perso tutto, 39 anni fa.
Ma se 39 anni dopo il Vescovo di Avellino dice che “bisogna ricostruire la comunità”, questo Paese ha davvero qualcosa che non va. Sono passati quattro decenni, quasi mezzo secolo. E se in Irpinia il tessuto è ancora sfaldato, significa che l’Italia ha perso per sempre.
E significa molto altro ancora: significa che il centro Italia devastato dal sisma del 2016, se si va avanti così, non ha alcuna speranza di tornare a vivere. Lì, ad Amatrice e nei territori circostanti, le persone aspettano da oltre tre anni. Qualche gru, poche, pochissime, e basta. Ancora macerie, e dove non ci sono le macerie c’è il vuoto, il nulla. Centro  Italia raso al suolo, scomparso. Chi traccerà, tra qualche secolo, la storia di questi tempi bui, disegnerà la cartina geografica di uno Stivale bucato nel mezzo. Ieri un altro Vescovo ha parlato ad un incontro dedicato alla comunicazione nel periodo emergenziale. Un Vescovo che si chiama Domenico Pompili e che sta guidando da oltre tre anni un’intera comunità che ha ferite profonde ancora aperte dopo il sisma del 24 agosto 2016. Pompili ha detto moltissime cose, come sempre molto interessanti e di sicuro impatto, sottili come lame. Ha fatto una riflessione tra l’altro su un concetto chiave: queste terre non si possono certo ricostruire in cinque anni. Ce ne vorranno dieci, forse di più. Quale compagine politica può durare tanto a lungo? Ecco perché le classi politiche che si sono avvicendate in questi anni (tre governi in tre anni, e anche tre commissari, e forse tra poco saranno quattro), non sono state capaci di predisporre nulla di adeguato all’immensa ferita del centro  Italia. Ha detto anche, il Vescovo di Rieti, che se c’è una “questione meridionale” e poi nella storia d’Italia c’è stata anche una “questione settentrionale”, oggi di sicuro c’è una “questione del centro Italia”. Insomma, il ragionamento di Pompili non fa una piega, e l’Irpinia ne è un altro tragico, triste esempio. Se l’omologo avellinese di Pompili dice, 39 anni dopo il sisma, che “bisogna ricostruire la comunità, questo Paese ha un problema grosso, con il quale prima o poi dovrà fare i conti. E saranno conti salati.
Nel 1908 un altro grande terremoto sconvolse il Belpaese: quello di Messina e Reggio Calabria. Alla metà degli anni Venti, Benito Mussolini inviò i funzionari dello Stato a verificare le condizioni in cui quelle persone vivevano, vent’anni dopo la tragedia. Trovarono baracche, persone e famiglie intere in condizioni igienico-sanitarie penose, città ancora spezzate. Poco o nulla era stato fatto in vent’anni. La storia che si ripete significa una cosa: che quella storia non ha insegnato niente a chi ha avuto il privilegio di conoscerla, di poterla osservare, studiare, capire. E, nel terzo millennio, questo non è giustificabile in nessun modo.

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