di Anna Beatrice
d’Assergi
Questa domenica non potevamo che dedicare il nostro
pezzo ad Amatrice. Alla Sagra degli
Spaghetti più famosi del mondo, per meglio dire. Spaghetti all’Amatriciana, che non sono solo un piatto di pasta,
sono molto di più: il simbolo di un territorio, qualcosa in cui una grande,
grandissima comunità si riconosce, perché ad essa appartiene questa cultura
antica che racconta, insieme alla storia dell’Appennino Centrale, l’Italia intera. L’Italia madre e anche un po’
matrigna, che quasi osserva, in
molti casi, con la coda dell’occhio questa
infinita voglia di risorgere di un popolo, che dopo una tragedia epocale non
esita a rimettersi in gioco, a gettare ancora una volta il cuore oltre
l’ostacolo. Un popolo che si rimbocca le maniche e rimette in piazza, nel nulla
più completo, pentoloni e quintali di
guanciale
e pecorino, e regala all’Italia - madre e matrigna - due giorni di vita, di
vita vera. Un esempio, signori. Un esempio di tenacia e di voglia di vivere, un
esempio di coraggio che
dovrebbe far
riflettere anche tutti quelli che in queste ore sono troppo impegnati a
barattare qualche poltrona con uno stile di vita che non c’è più. Amatrice.
L’esempio. Gente che ha perso tutto, che ancora piange centinata di vite
spezzate, e che mette i pentoloni sul fuoco e ci regala un pezzo della sua
storia più preziosa. Ce la regala. Senza chiedere niente in cambio.
Le note degli organetti portano un po’
di allegria nella città che non c’è più, c’è chi si commuove, e nasconde gli
occhi lucidi, e non riesce nemmeno a parlare, perché queste persone hanno
perso, tutte, qualcuno di molto caro. Ogni famiglia, qui, è stata colpita dalla
tragedia, le loro case sono ormai mucchi di sassi portati via, chissà dove, e
qui non c’è niente. A pochi passi da dove suonano gli organetti, da dove si
balla il saltarello, c’è la città scomparsa, i ricordi, le vite spezzate, le
lacrime lasciate su quella distesa di nulla che è
la Amatrice che non c’è più. Abbiamo sentito parlare tanto, di
Amatrice, in questi anni. Ne hanno parlato proprio tutti.
In qualche caso, ne ha parlato anche chi non ne sapeva proprio niente.
Niente di questo popolo ferito e coraggioso, niente di queste montagne che
legano per sempre le persone alla loro terra, niente di questa sofferenza
infinita che si respira qui. Niente di queste persone che, con la benda nera
che fascia il cuore per sempre, rimettono l’acqua a bollire e il guanciale a
cuocere, per mettere nel piatto i preziosi Spaghetti all’Amatriciana. Preziosi
perché questo piatto di pasta è la storia e la vita di questa gente,
racconta la storia dei pastori transumanti,
di un popolo che ha sempre lottato per la propria autonomia, per il proprio
territorio, un popolo fiero che non si arrenderà mai. Sta scritto in quel
piatto di pasta. Che rappresenta una terra, un popolo, una storia. Che
rappresenta non solo la Conca amatriciana, ma l’Italia intera.
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