2.8.19

A SCUOLA, MA CON IL PANINO O NO?



di TINO
La Corte di Cassazione ha stabilito il divieto di consumare a scuola cibo portato da casa in sostituzione di quello fornito a mensa.
Una sentenza che fa discutere e ha già diviso gli italiani tra chi è d’accordo e chi difende il “diritto al panino”.
Il tema non è così semplice come a prima vista parrebbe, perché entrano in conflitto valori diversi e parimenti importanti. 
Da un lato infatti la Cassazione ha voluto difendere con la propria sentenza il ruolo della scuola come
“luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dell’istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza”.
Perché mangiare tutti insieme lo stesso pasto è innanzitutto un fatto educativo: «L’introduzione di vari e differenziati pasti domestici nei locali scolastici – scrive la Corte – inficia il diritto alla piena attuazione egualitaria del progetto formativo, comprensivo del servizio mensa».
D’altro canto, impedire ai genitori di poter decidere sulla nutrizione dei propri figli potrebbe apparire come l’ennesimo attacco alla concezione tradizionale della famiglia, cellula fondamentale della società e nucleo primigenio di educazione per i bambini. 
Una volta il cibo cucinato in casa era sinonimo di genuinità e bontà perché si conoscevano gli ingredienti e la fattura con cui veniva preparato, ma quando la Cassazione scrive che bisogna tenere conto dei “rischi igienico-sanitari di una refezione individuale e non controllata” tocchiamo con mano la deriva psicotica e oppressiva verso la quale stiamo correndo a grandi passi.
Ma se a rischio è l’alimentazione dei bambini, bisognerebbe innanzitutto aumentare la qualità del cibo che viene servito nelle scuole, che sempre più, per abbattere i costi, rinunciano ad avere una refezione interna e si affidano a centri di cottura che sfornano i pasti durante la notte e li consegnano di giorno porzionati e riscaldati.
Le annuali indagini sullo spreco nelle mense dimostrano che più di un terzo di quel che viene servito resta nel piatto, pesce e verdura primi tra tutti.
Rispondere a queste carenze col pasto portato da casa è solo un rimedio provvisorio all'insegna di un individualismo che lascia le cose come sono. 
Assieme a politiche che vadano a incidere sulla qualità dei pasti come la scelta di prodotti locali e a km zero, andrebbe garantita la possibilità a tutti gli studenti di poter usufruire della mensa, stabilendo criteri di progressività delle rette, individuate mediante la certificazione ISEE.



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