A distanza di quasi settantanni
ricordiamo con ammirazione il gesto della
donna
che preferì l’interesse nazionale a quello di
parte
di TINO
Il 22 agosto 1951 la folla immensa che si
era radunata a Buenos Aires in
Avenida 9 de Julio chiedeva a gran voce a Eva
Perón di accettare la candidatura alla vicepresidenza dell’Argentina.
La sinistra del Partido Justicialista assieme alla potentissima
Confederazione Generale del Lavoro volevano che la coppia presidenziale
corresse in ticket alle
elezioni, per certificare il ruolo fondamentale
dell’anima sindacalista nell’assetto politico dell’Argentina peronista.
Perón, che in un primo momento si era
detto non contrario all’ipotesi di una candidatura della moglie, dovette far
fronte all’opposizione categorica dei gruppi militari e conservatori del paese,
che avevano mal digerito la rivoluzione sociale incarnata da Evita, e che non
volevano che una giovane donna di estrazione popolare diventasse il vice-comandante in capo
delle forze armate.
Eva Perón, già minata dal cancro che
l’avrebbe uccisa solo nove mesi dopo, era stata indotta dal marito a
rinunciare. Ma nel Cabildo Abierto
(consiglio aperto) del 22 di Agosto alla folla riunita dai sostenitori di Evita
per forzare la mano al Presidente, la bandiera dei descamisados non se la sentì di comunicare la sua rinuncia
che affidò ad un messaggio radio alcuni giorni dopo: «Ho solo un'ambizione
personale: che il giorno in cui si scriverà il capitolo meraviglioso della
storia di Perón, di me si dica questo: c'era, al fianco di Perón, una donna che
si era dedicata a trasmettergli le speranze del popolo. Di questa donna si sa
soltanto che il popolo la chiamava con amore: Evita».
La donna, che a soli trent’anni era
divenuta un’icona di speranza per milioni di persone, disse di rinunciare agli
onori ma non alla lotta, consapevole che il venir meno della sua figura sulla
scena politica avrebbe messo in pericolo le riforme sociali che in poco tempo
avevano trasformato l’Argentina.
Rinunciò in nome di Perón e dell’interesse
del popolo argentino, avvertendo già i prodromi della spaccatura che dopo la
sua morte avrebbe contrapposto i peronisti
di destra e quelli di sinistra, mentre i militari bombardavano la Casa Rosada e mettevano fine
all’esperienza peronista.
Contrappose alle convenienze personali e
di parte il bene supremo del paese, che in quel momento si sostanziava nel fare
un passo indietro all’apice del consenso della sua parabola politica in vita.
Una lezione di umiltà, forza, generosità e
lungimiranza della quale il populismo nostrano in salsa verde dovrebbe fare
tesoro.
E scusatemi l’eretica comparazione.
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